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Rischia prescrizione processo per minacce a Federica Angeli

Processo ex novo perché il giudice ha chiesto di contestare ad Armando Spada un reato più grave. Petizione al Procuratore di Roma

Il 15 maggio 2018 il giudice monocratico del Tribunale di Roma, che si sarebbe dovuto pronunciare in merito alla richiesta del pubblico ministero, di condannare Armando Spada a un anno di reclusione per minacce alla giornalista Federica Angeli, ha dichiarato che il comportamnento dell’imputato, il 23 maggio del 2013 ad Ostia, in realtà configura un reato più grave: quello di violenza privata. Perciò il giudice ha bloccato il processo  e ha chiesto al Procuratore della Repubblica di contestare la nuova imputazione. Di conseguenza dovrà tenersi un nuovo processo.

La decisione in sé è stata accolta positivamente. È un altro segno della maggiore considerazione che la magistratura sta riservando alle violenze contro i giornalisti. Ma subito si è fatto notare che il nuovo processo, partendo da zero. rischia con molta probabilità di concludersi senza alcuna condanna, per effetto della prescrizione, ormai prossima.

Il rischio sarà ridotto se la Procura di Roma contesterà all’imputato la circostanza aggravante del metodo mafioso (prevista dall’art. 7 D.L. 13 maggio 1991 n. 152, conv. in legge 12 luglio 1991 n. 203). Secondo alcuni giuristi, ciò è possibile, considerando che nel caso concreto la violenza si è manifestata con condotte che evocano specificamente la forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo. La decisione spetta al Procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, al quale nei giorni scorsi è stata rivolta una petizione in questo senso. Il quotidiano “La Repubblica” ha riferito che la petizione, il 19 maggio, era stata firmata da mille persone.

Commento dell’avv Andrea Di Pietro, coordinatore dell’Ufficio di Assitenza Legale Gratuita di Ossigeno

Nella fase decisionale il Giudice Penale può dare al fatto contestato una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione, purché il reato non ecceda la sua competenza né risulti attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale anziché monocratica. Ebbene, sia la minaccia che la violenza privata sono entrambi reati attribuiti allo stesso organo giudicante.

Quindi il giudice avrebbe potuto applicare il primo comma dell’art. 521 del codice di procedura penale e condannare oggi Spada per violenza privata? La questione non è così semplice.
Quando il giudice ritiene che il fatto contestato dal PM e il fatto provato nel processo coincidano, ma ritiene che sia applicabile una norma penale più adatta, allora applica il primo comma dell’art. 521 c.p.p.

Ma se ritiene, invece, che il fatto sia diverso da quello descritto nel capo di imputazione, perché diversi sono gli elementi fattuali costitutivi del reato, allora deve necessariamente trasmettere gli atti al pubblico ministero.

Ora, quello che è accaduto al processo Angeli/Spada sembra ineccepibile giuridicamente, in quanto la decisione, da un lato, risponde a criteri di garantismo per l’imputato, ma al contempo, implicitamente, rivela un netto convincimento di colpevolezza del giudice, il quale non solo ha ritenuto il fatto storico provato, ma ha ritenuto che quel fatto storico sia solo una parte di un fatto storico più ampio che integra un reato ben più grave di quello contestato. E in questi casi il processo è da rifare.

Tuttavia, con la prescrizione che incombe, questa decisione lascia comprensibilmente insoddisfatti coloro che speravano in una condanna, perché, forse, era meglio l’uovo oggi, che era sicuro, che la gallina domani, che forse non farà in tempo a materializzarsi.

ASP


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