31 anni fa furono uccisi a Mostar tre giornalisti inviati dalla sede RAI di Trieste
Marco Luchetta, Dario D’Angelo e Alessandro Saša Ota volevano raccontare i “bambini senza nome”. La storia dei cronisti su Ossigeno-Cercavano la verità
OSSIGENO 27 gennaio 2025 – Trentuno anni fa, il 28 gennaio 1994, a Mostar, in Bosnia Erzegovina, tre inviati della sede Rai del Friuli-Venezia Giulia, il giornalista Marco Luchetta, il video operatore Alessandro Saša Ota e il tecnico di ripresa Dario D’Angelo, furono uccisi dall’esplosione di una granata lanciata delle forze croato-bosniache dell’HVO che assediavano la parte Est della città. Il loro ingresso in quella zona di guerra ad alto rischio era stato autorizzato dopo numerosi rinvii, prevedendo che il tito dei morti sarebbe stato sospeso. Le responsabilità per il tragico esito di quella missione in una zona di guerra ad alto rischio non sono state accertate.
Ossigeno per l’informazione dedica alle vittime di questa strage, tre sezioni del sito “Cercavano la verità”, dedicato ai trenta giornalisti italiani uccisi in terre di mafia, di guerra e dal terrorismo. Contiene ricca documentazione, con ricordi e testimonianze
Quel 28 gennaio 1994 i tre componenti della troupe avevano raggiunto Mostar Est, da mesi dilaniata dai bombardamenti. Erano riusciti a ottenere il lasciapassare dopo vari tentativi e dopo aver già fatto altre interviste a Mostar Ovest, controllata dalle truppe croate. Autorizzati dal comando dell’UNHCR, entrarono nella zona della città sotto il controllo dei mussulmani. Gli inviati volevano fare delle riprese per un servizio sui cosiddetti “bambini senza nome”, nati da stupri etnici o figli di genitori dispersi nei combattimenti che devastavano la Bosnia Erzegovina. Per questo la Fondazione nata dopo questa tragedia si occupa di aiutare i bambini che non possono essere curati nei loro paesi di origine.
IMPUNITÀ – Fu una granata a uccidere Luchetta, Ota e D’Angelo. Ma per loro non c’è ancora giustizia dopo trentuno anni. Come altri operatori dell’informazione vittime di guerra, anche per i tre inviati RAI l’inchiesta giudiziaria si concluse senza esito.
“Ho sempre avuto, e serbo tutt’ora, il dubbio che quella strage sia stata studiata e voluta. Quella era una guerra di cui si parlava poco, se non attraverso i racconti di giornalisti e operatori come mio padre”, racconta a Ossigeno la figlia di Dario D’Angelo, la signora Nataly che spiega: “Cosa poteva fare più clamore se non l’uccisione di giornalisti? A distanza di trent’anni io e la mia famiglia siamo ancora molto arrabbiati, perché gli accertamenti furono conclusi troppo velocemente senza cercare la verità”.
Anche Milenka Ota, moglie di Alessandro Saša ha espresso più volte la convinzione che non si sia fatto abbastanza per cercare eventuali responsabilità. Ha ricordato amareggiata a Ossigeno: “mi sono rivolta al Tribunale di Trieste, all’Onu e al tribunale dell’Aja, ma ho trovato un muro di gomma. Dopo trent’anni penso si sia trattato di un omicidio volontario. La cinepresa di mio marito è stata trovata vuota”.
La moglie del giornalista Marco Luchetta, Daniela Schifani Corfini, presidente della Fondazione “Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin” di Trieste, ha vissuto quella tragedia sforzandosi di pensare che “a uccidere Marco e i suoi colleghi sia stata la guerra”, come ha ricordato a Ossigeno, pur sottolineando alcune evidenze: i bombardamenti sulla città furono sospesi dal giorno dopo l’uccisione dei tre inviati RAI e le minacce rivolte ai giornalisti che denunciavano la guerra.
Ossigeno per l’informazione in occasione di questo anniversario invita ad approfondire le storie personali dei tre inviati RAI di Trieste leggendo la documentazione e le testimonianze raccolte su www.giornalistiuccisi.it. GPA
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!