Libertà di stampa

“Molta mafia, poche notizie”. Il testo del rapporto

Questo articolo è disponibile anche in: Inglese

Analisi, dati, opinioni – Inchiesta di Ossigeno e del Centro Europeo ECPMF di Lipsia, con il sostegno della Commissione Europea Per scaricarlo, clicca qui

Sul tema drammatico del radicamento criminale delle mafie, sulla loro influenza nella vita sociale, e sui fenomeni di corruzione, in Italia i giornali e i giornalisti producono meno informazioni di quante sarebbe utile averne. Questa valutazione è ampiamente condivisa. Le ragioni sono molteplici.

Paura, minacce, ritorsioni, connivenze, leggi punitive e scoraggianti per i cronisti, intolleranza. Queste, a giudizio degli esperti, sono le ragioni principali, anche se spesso sono mascherate da false motivazioni, per sminuire o rendere puramente oggettiva, di necessità,  la scelta di tacere. Così, ad esempio, spesso editori e direttori negano spazio a questi temi e chi chiede spiegazioni dicono che ai lettori non interessa leggere notizie su questo tema.

Tutto ciò emerge in modo chiaro, didascalico, dal dossier dal titolo “Molta mafia, poche notizie” realizzato da Ossigeno per l’informazione, con il sostegno della Commissione Europea, su incarico del Centro Europeo per la libertà di Stampa e dei Media di Lipsia (ECPMF). Il rapporto presenta i risultati della Missione di Accertamento dei Fatti (Fact-Finding Mission) per la quale sono state realizzate 25 interviste strutturate per raccogliere il parere di esperti, magistrati, parlamentari, rappresentanti del governo, giornalisti. Le loro risposte offrono un’ampia panoramica di punti di vista su ciascun punto.

Il quadro che emerge è impietoso quanto una radiografia a un corpo malato. Ma la diagnosi non è del tutto negativa. Dice che l’Italia, insieme alla malattia, possiede anche i migliori rimedi disponibili e ha anche i laboratori più impegnati a studiarne di più efficaci.

I giornali e i cronisti locali appaiono come il bersaglio più esposto e l’anello più debole della catena informativa e, allo stesso tempo, sono l’elemento strategicamente più importante per l’informazione su questa materia.

Fra i numerosi nodi da sciogliere messi in luce dal dossier, alcuni riguardano responsabilità degli editori, altri dei direttori dei giornali, altri del legislatore.

Importanti e originali proposte sono formulate dal Procuratore nazionale Antimafia Federico Cafiero de Raho.  Fra l’altro il Procuratore propone di riconoscere ai giornalisti alcune prerogative per proteggerli dai rischi di ritorsione a cui sono frequentemente esposti, in particolare dalle querele pretestuose e infondate. Anche il sistema italiano di protezione è descritto e giudicato mostrandone luci e ombre. 

Con questo studio oggettivo pensiamo di avere dato un contributo alle istituzioni impegnate a garantire la più ampia libertà di stampa e a rimuovere le cause legali e illegali per le quali molti cronisti per fare informazione sulle mafie rischiano la vita e il loro patrimonio personale. Presenteremo questo studio alla Commissione Parlamentare Antimafia e a tutte le istituzioni che vogliono approfondire il tema.

IL QUADRO DELLE RISPOSTE DEGLI INTERVISTATI

Quanto è importante l’informazione sulle mafie? Moltissimo per il 95% dei 25 esperti intervistati da Ossigeno per il rapporto “Molta mafia, poche notizie”. Tuttavia non se ne produce abbastanza, afferma l’80% delle persone consultate. Il 40% ritiene che quella diffusa sia poca, un altro 40% la ritiene appena sufficiente. Alla domanda se la Rai faccia abbastanza in questo campo, il 50 % ha risposto con un netto “no”, l’altro 50 % con un “no comment”. Perché non si riesce a fare di meglio e di più? Il 79% degli intervistati attribuisce la colpa a giornalisti e editori, alle condizioni economiche in cui lavorano ma anche alle connivenze di alcuni di loro con la criminalità organizzata o i corruttori. Il 16% spiega la poca informazione con l’autocensura praticata per timore di ritorsioni violente, minacce, perquisizioni invasive, sequestri giudiziarie o altri procedimenti. Solo il 5% ritiene che il ridotto volume di informazioni prodotte sia dovuto alle leggi restrittive sulla diffamazione, sul segreto di indagine e sulla tutela delle fonti. Due terzi degli intervistati ritiene che alcune notizie non raggiungano le pagine dei giornali o i palinsesti perché editori e direttori rifiutano di pubblicarle. Tra le ragioni addotte per opporre questo rifiuto la metà degli intervistati cita il presunto scarso interesse dei lettori, un terzo le connivenze che esistono con gli ambienti criminali e della corruzione, il 19% la paura di incorrere in ritorsioni. È fuor di dubbio che le inchieste giornalistiche possono aprire sviluppi investigativi importanti. Il 26% degli intervistati cita il caso delle inchieste di Federica Angeli a Ostia. Il 35% ricorda le inchieste di Lirio Abbate su mafia capitale. Il 39% indica altre inchieste che hanno avuto anche esse esiti giudiziari importanti. Appare chiara anche la percezione del fatto che l’informazione giornalistica, a volte, sia stata utilizzata come un’arma impropria per danneggiare qualcuno, come una “macchina del fango”. Il 23% ricorda il caso Boffo, dal nome dell’allora direttore del quotidiano l’Avvenire preso di mira e costretto a dimettersi.

Gli intervistati ritengono pienamente attendibili i dati di Ossigeno sui giornalisti minacciati in Italia (quasi quattromila quelli accertati dal 2006 a oggi). Il 73% attribuisce in massima parte alla criminalità organizzata, in contraddizione con le statistiche di Ossigeno che ne indicano solo il 40% di questo tipo. 

Due giornalisti su tre ritengono adeguato il sistema italiano di protezione dei giornalisti minacciati e il 91% lo considera il migliore del mondo. Tuttavia alcuni intervistati ne indicano un limite: è difficilmente accessibile per i cronisti che non sono classificati ad altissimo rischio ma necessitano ugualmente di protezione. Il 95 per cento degli intervistati ha dichiarato che il monitoraggio delle minacce realizzato da Ossigeno ha contribuito a rendere più sicuro il lavoro dei cronisti.

Per scaricare il Rapporto in italiano, clicca qui

To download the report in English, click here

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