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Borrometi. Cinque anni di insulti, minacce e aggressioni

Questa ricostruzione degli attacchi più gravi subiti dal giornalista siciliano a causa dei suoi articoli è stata pubblicata l’11 aprile 2018 dall’Agenzia Italia

Paolo Borrometi, 35 anni, di Modica (Ragusa), giornalista, direttore del sito “La Spia” e collaboratore dell’AGI, autore di inchieste contro la mafia e il malaffare, da tre anni sotto scorta, è da tempo bersaglio costante dei mafiosi di Ragusa e Siracusa. Un odio crescente pronto a esplodere, come rivela oggi un’intercettazione nella quale il boss di Pachino, Salvatore Giuliano, ha dato l’ordine di ucciderlo: “Fallo ammazzare”.

“STAI ATTENTO”. L’agguato degli incappucciati Il primo avvertimento gia’ nel 2013: a ottobre ignoti danneggiano l’auto del cronista componendo con un oggetto appuntito, lungo tutta la fiancata, la scritta “Stai attento”. E’ l’inizio dell’escalation criminale. Il 16 aprile del 2014, Borrometi viene aggredito violentemente da uomini incappucciati mentre si trovava in campagna a Modica, nei pressi di una proprietà di famiglia. Il giovane cronista era appena arrivato per portare da mangiare ai suoi cani, quando è stato afferrato alle spalle da due persone con il volto coperto che lo hanno picchiato, così duramente da fratturargli la spalla.

Poco prima del pestaggio, Borrometi aveva preso parte alla trasmissione della Rai ‘I fatti vostri’, per raccontare il caso di un omicidio di mafia commesso nel 2012 a Vittoria, quello di Ivano Inglese: le indagini, che erano state archiviate, vennero riaperte dalla Procura di Ragusa dopo la trasmissione. Nella notte tra il 22 e il 23 agosto del 2014 una nuova intimidazione: viene appiccato il fuoco alla porta dell’abitazione della famiglia Borrometi, nel centro di Modica. Qualche giorno prima davanti alla casa era apparsa la scritta: “Borrometi sei morto”.

L’AGI AL SUO FIANCO – In quello stesso mese l’allora direttore dell’AGI, Roberto Iadicicco, si recò a Ragusa per incontrare il collaboratore dell’agenzia di stampa, il prefetto e il comandante provinciale dei carabinieri che seguiva in prima persona le indagini. Tra le inchieste giornalistiche alle quali Borrometi stava lavorando, quella sui condizionamenti della criminalità organizzata nel Comune di Scicli, poi sciolto per mafia. Dal febbraio 2014 Paolo Borrometi, fino ad allora ‘stringer’ dell’AGI da Ragusa, diventa collaboratore della redazione centrale di Roma: una decisione presa dalla direzione e dall’azienda per sottrarlo ad un ambiente ostile. Da Roma, il giornalista continua a scrivere sulle attivita’ criminali della mafia della Sicilia orientale e sulle sue capacita’ di condizionamento delle amministrazioni locali. L’Associazione stampa romana sottolinea come l’AGI abbia fatto “un’operazione di tutela e protezione verso questo collega. Un esempio da seguire”.

MATRICE MAFIOSA Nell’ottobre del 2015 la Direzione distrettuale antimafia di Catania dispone perquisizioni e sequestri a carico di due indagati per le minacce a Borrometi: l’inchiesta conferma che le intimidazioni provengono da ambienti della criminalità organizzata e hanno modalita’ mafiose. La Squadra mobile di Ragusa setaccia abitazioni e attivita’ commerciali e, in collaborazione con la Polizia postale di Catania, sequestra computer e materiale informatico dopo aver sorpreso gli indagati con il profilo aperto ancora sul sito del quotidiano on line “La Spia”. Il 21 gennaio 2016 il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nomina Paolo Borrometi cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica italiana, assieme alla collega di ‘Repubblica’ Federica Angeli, impegnata sul fronte della criminalita’ di Ostia.

“TI STACCO LA TESTA” L’autore delle minacce di morte, il pluripregiudicato Giombattista Ventura, reggente del clan mafioso Dominante-Carbonaro di Vittoria, viene arrestato nel febbraio del 2016. L’uomo, fratello di Filippo Ventura (considerato dalla Direzione nazionale antimafia come il capomafia di Vittoria), e’ stato in passato condannato per omicidio, associazione per delinquere, traffico di droga e rapina. Le sue minacce sono plateali, pubbliche, su Facebook: “Ti scippero’ la testa anche all’interno del Commissariato di Vittoria. Da ora in poi saro’ il tuo peggiore incubo e ci incontreremo nell’aldila'”. Ventura, per sua stessa ammissione, “non accettava che il giornalista parlasse di lui e della sua famiglia”. Il 26 maggio arriva a Catania il rinvio a giudizio per il boss per minacce aggravate dal metodo mafioso. Tra le parti civili l’Ordine nazionale e regionale dei giornalisti e la Federazione nazionale della stampa. A luglio prende il via il processo a Ventura. A settembre Borrometi depone in aula come parte offesa. E racconta che tutto e’ cominciato da una “pubblica inchiesta che faceva riferimento al ritorno in liberta’ del signor Angelo Ventura, figlio dell’imputato e su un’agenzia di pompe funebri che portava il nome Ventura; secondo le mie fonti non era di esclusiva proprieta’ di Maurizio Angelo Cutello, ma era al 50 per cento di proprieta’ di Ventura”. I primi messaggi di minaccia “dopo un articolo che parlava della presenza al mercato ortofrutticolo della criminalita’ organizzata, pregiudicati e pluripregiudicati”.

“MI MANGIO IL TUO CUORE” Nel marzo 2017 ecco il rinvio a giudizio, a Catania, di Venerando Lauretta, gia’ condannato per mafia, per minacce aggravate algiornalista. Lauretta, su Facebook, si esprimeva cosi’: “Il tuo cuore verra’ messo nella padella. E dopo me lo mangero’ capito piscia letto”. Il successivo 4 aprile arriva la condanna di Giombattista Ventura a un anno e otto mesi di reclusione. Ma le minacce non si fermano. “Gran pezzo di merda, ‘carabiniere’, appena vedo di nuovo la mia faccia, di mio fratello, in un articolo tuo ti vengo a cercare fino a casa e ti massacro. E poi denunciami sta minchia, con le mani non c’e’ il carcere, pezzo di merda te lo dico gia’ subito”: era l’avvertimento, nel novembre scorso, di Francesco De Carolis, pluripregiudicato e fratello di Luciano De Carolis, ritenuto uno degli elementi di spicco del clan Bottaro-Attanasio di Siracusa.

LA TRAMA TRA RAGUSA E SIRACUSA – L’audio con la registrazione delle minacce viene pubblicato sul sito dell’AGI, e ripreso da altri media. Un’intimidazione legata ad un articolo di Borrometi in cui venivano descritti gli affari mafiosi di Siracusa ed elencati i boss in liberta’, fra i quali proprio De Carolis, gia’ condannato per associazione mafiosa, omicidi e droga.

Il 25 novembre del 2016 Francesco De Carolis viene arrestato per tentata violenza privata aggravata dal metodo mafioso. Ma due mesi prima, il 31 agosto del 2016, Borrometi riceve nuove minacce: vengono dal capomafia di Pachino, Salvatore Giuliano, lo stesso boss intercettato mentre dà l’ordine di uccidere il giornalista, come si e’ appreso oggi. Salvatore Giuliano, assieme al figlio Gabriele, scrive su Facebook e in una mail inviata ad Articolo 21, l’associazione di giornalisti di cui Borrometi è presidente: “Ti rompo il c…. sono Salvatore Giuliano, non toccare la mia persona e la mia immagine soprattutto. Smettila di pubblicare su di me”.

Per questa intimidazione, Salvatore Giuliano e il figlio vanno a processo il primo febbraio del 2018 con le accuse di tentata violenza privata e minacce di morte, aggravate dal metodo mafioso e dall’appartenenza al clan. L’ultima inchiesta di Paolo Borrometi, in esclusiva per l’AGI, e’ del marzo scorso e riguarda la societa’ “La Fenice srl”, legata al capomafia Salvatore Giuliano, e inserita nel lucroso affare dei pomodorini di Pachino. Creata nel settembre del 2013, pochi mesi dopo la scarcerazione di Giuliano, ha due soci: Gabriele Giuliano, il figlio del boss, e Simone Vizzini, quest’ultimo tra gli arrestati nell’operazione della polizia di oggi.

Dopo la pubblicazione del pezzo di Borrometi, “La Fenice srl” e’ stata espulsa dal Consorzio Igp di Pachino. Cinque giorni dopo l’azienda agricola dell’allora presidente del Consorzio, Giuseppe Fortunato, e’ stata distrutta da un incendio doloso.

(Fonte AGI)

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