Editoriale

Il giudice, l’avvocato e i giornalisti aggrediti

“In una aula di giustizia, nessuno può accreditare l’idea che possano esistere spazi pubblici inaccessibili per la stampa”

OSSIGENO 6 luglio 2023 – Ad alcuni giornalisti aggrediti mentre fanno legittimamente il loro lavoro capita di essere accusati di imprudenza, di essersela cercata. Accade anche nelle aule di tribunale in cui sono processati i loro aggressori. Colpevolizzare la vittima è un modo classico di attenuare la propria colpa o quella del proprio assistito. Respingere le accuse meschine e infondate è mestiere del giudice che di solito, per fortuna, lo fa abbastanza bene. Ma forse mai come il 30 giugno 2023, in un’aula del Tribunale di Roma, un giudice ha respinto con tanta assoluta chiarezza il tentativo di  colpevolizzare i giornalisti aggrediti.

“Non pensate di essere stati imprudenti ad andare con una telecamera a vicolo di Porta Furba, (dove siete stati aggrediti, ndr)” aveva chiesto l’avvocata Annalisa Garcea, legale di un esponente della famiglia Casamonica sotto processo per aver aggredito i video operatori e i giornalisti che nel 2018 erano intenti a fare legittimamente il loro lavoro, per documentare gli arresti dell’operazione ‘Gramigna. L’avvocata ha rivolto la domanda al giornalista del TG2 Piergiorgio Giacovazzo che quel giorno si trovava insieme agli aggrediti.

 Il giornalista ha risposto che egli si era semplicemente recato in un luogo pubblico, per svolgere il suo lavoro. Quindi il giudice, Valerio Di Gioia, si è rivolto al difensore affermando: “Qui siamo in una aula di giustizia, nessuno può accreditare l’idea che possano esistere spazi pubblici inaccessibili per la stampa”.

COMMENTI – La domanda dell’avvocata è stata commentata dalla giornalista Giusi Fasano con queste parole: “Cara avvocata Annalisa Garcea, non ci siamo. Nella migliore delle ipotesi la sua domanda è stata mal posta, nella peggiore mal concepito il pensiero che l’ha generata. Chiedere ai giornalisti intimiditi e cacciati da un quartiere da gente prepotente se non pensano di essere stati “imprudenti” ad andarci, equivale a chiedere a una donna stuprata se non pensa di aver provocato la violenza indossando la minigonna.il risultato è sempre quello: uno sgradevole tentativo di insinuare il dubbio di una responsabilità condivisa tra l’aggressore e l’aggredito. Sullo sfondo il più classico e fastidioso dei sottintesi, cioè quel “te la sei cercata” da usare come attenuante”. (Quando la domanda è un pregiudizio, Corriere della Sera 3 luglio 2023 pagina 25)

Ossigeno condivide l’argomentazione di Giusi Fasano e trova appropriato il paragone che ha fatto fra i giornalisti minacciati e le donne stuprate.

Virginia Raggi, consigliera regionale M5S ed ex sindaca di Roma, ha commentato con queste parole: “I giornalisti che si recano sui luoghi fanno il loro lavoro e noi non possiamo che essere loro grati. Guai a chi pensa che fare domande e voler conoscere equivalga a ‘essersela cercata’. La libertà di informazione, il dovere di cronaca, partono proprio da loro e dal loro coraggio che, tutti, dobbiamo tutelare”.

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