Memoria

Fabio Polenghi, fotoreporter di Monza ucciso a Bangkok 15 anni fa durante i moti di protesta

Era un freelance. Stava documentando la repressione violenta della manifestazione pubblica di protesta del movimento antigovernativo delle Camicie rosse

OSSIGENO 19 maggio 2025 – Quindici anni fa, il 19 maggio 2010, Fabio Polenghi, fotoreporter freelance di Monza, fu ucciso a Bangkok  in Thailandia, mentre documentava un blitz dell’esercito per reprimere le proteste di piazza del movimento antigovernativo delle “Camicie rosse”. A ricordarlo in Italia sono amici e colleghi e i familiari, che si sono battuti per accertare le responsabilità della sua uccisione mentre svolgeva attività giornalistica. Quella giustizia è arrivata solo in parte. E ogni anniversario rinnova il dolore della sorella Arianna che, da quando è cominciata la guerra a Gaza, immagina che Fabio avrebbe fatto di tutto per essere nella Striscia per documentare con foto e video la tragedia del popolo palestinese. “E’ un supplizio pensare ai troppi giornalisti uccisi ingiustamente a Gaza”, dice Arianna a Ossigeno per l’’informazione. Dopo l’inizio della guerra a Gaza aveva detto che ora  “avrebbe voluto essere lì a testimoniare questa strage inutile”. “Penso che il modo migliore per ricordarlo – ha aggiunto – sia fare un appello all’Occidente affinché smetta di appoggiare la strage di civili e di giornalisti che Israele sta portando avanti indisturbato”.

Fabio Polenghi aveva 48 anni.  Il 19 maggio 2010 a Bangkok a ucciderlo fu un proiettile in dotazione all’esercito thailandese. Stava documentando le manifestazioni delle “Camicie rosse”, che da due mesi invocavano elezioni anticipate. Quel giorno l’esercito diede l’assalto finale al luogo dove erano accampate, nel centro della Capitale. Fabio fu colpito al cuore da un proiettile e morì durante il trasporto, improvvisato su una motocicletta, in ospedale. La stessa mattina vennero feriti altri tre giornalisti, un olandese, un canadese ed un americano.

L’esercito sostenne inizialmente la tesi che il fotoreporter era stato ucciso da una granata lanciata da un “terrorista”, granata che aveva ucciso anche un soldato. Ma il 29 maggio 2013, al termine di un processo penale, i giudici stabilirono invece che Fabio era stato colpito da proiettile di fucile M16, in dotazione ai militari. Era stato trafitto alla schiena mentre correva con i “rossi” nella ritirata per sfuggire all’offensiva armata dell’esercito, che quel giorno causò almeno una quindicina di altre vittime. Il bilancio finale di due mesi di proteste fu di almeno 91 morti e quasi 2mila feriti. Il 10 aprile era stato ucciso il reporter giapponese Hiro Muramoto, con altre 25 persone.

La sentenza del 2013 non individuò il militare che aveva sparato a Fabio né chi sul campo aveva dato l’ordine di colpire anche a costo di uccidere. L’accertamento giudiziario si fermò a quello stadio, anche se l’inchiesta aveva già chiamato in causa il primo ministro, Abhisit Vejjajiva, e il suo vice, Suthep Thaugsuban, come coloro che avevano dato ordine di reprimere la protesta anche con proiettili veri. 

Come ricostruito nelle diverse pagine del sito Ossigeno – Cercavano la verità www.giornalistiuccisi.it dedicata a Fabio su questo portale, i manifestanti – seguaci dell’ex premier Thaksin Shinawatra – chiedevano da due mesi, accampati nel centro di Bangkok, elezioni anticipate al governo di Abhisit Vejjajiva. E Fabio era lì a documentare quei fatti. Ma alla fine l’esercito intervenne per porre fine alle proteste. Trascinato anche lui nella fuga, il fotoreporter milanese fu colpito alla schiena e trafitto al cuore da un proiettile che, secondo i giudici del tribunale thailandese, era in dotazione all’esercito. Ma quella sentenza non stabilì chi aveva sparato né chi avesse dato l’ordine di farlo, e di processi non ve ne furono altri, nonostante l’impegno della famiglia e in particolare della sorella Elisabetta.

Quella di Fabio è dunque una delle tante morti rimaste senza giustizia, fra le trenta in totale che il giornalismo italiano conta dal 1960 a oggi, e la sorella Arianna – l’unica rimasta, dopo la morte per tumore di Elisabetta – non si sente più di tornare su quegli eventi dolorosi. Ma come l’anno scorso associa la morte del fratello al massacro di civili e giornalisti in corso da mesi a Gaza: “Fabio avrebbe voluto essere lì a testimoniare questa strage inutile. Penso che il modo migliore per ricordarlo sia fare un appello all’Occidente affinché smetta di appoggiare la strage di civili e di giornalisti che Israele sta portando avanti indisturbato”.

A spingere Arianna a pensare che il fratello avrebbe cercato di essere sui luoghi di quest’ultimo conflitto è la storia personale di Fabio. Il fotoreporter, infatti, era  stato in Kosovo accompagnando la Kfor; in Brasile e nelle favelas di Rio di Janeiro, collaborando con alcuni progetti sociali e di 0ng; in Sud Africa, per un reportage sugli omicidi e l’insicurezza in alcuni gruppi minoritari; in Cambogia, per un lavoro sulle mine anti-uomo; nel Myanmar e nei campi profughi al confine thailandese, documentando la condizione dei Karen e di altri gruppi etnici in fuga dal regime birmano; in Thailandia a raccontare per immagini il mercato del sesso e, ancora, in Kenia, Sierra Leone, Messico, Honduras, Cuba, Cina, Giappone, Korea, Nepal, India. “Aveva ben presto scelto il mondo come casa e la fotografia come un caleidoscopio per raccontarne le mille realtà diverse”, si legge sul sito a lui dedicato. Purtroppo la sua morte non ha lasciato molte tracce nel ricordo dei suoi stessi colleghi e dell’opinione pubblica in Italia, come non ha avuto esito positivo la richiesta dei familiari di ottenere dallo Stato l’indennizzo previsto per le vittime del terrorismo, della mafia e dei reati intenzionali violenti. E purtroppo si è fermato anche il lavoro della sorella Elisabetta, che non solo cercava giustizia ma aveva anche avviato il progetto di un monumento a Bangkok: un portale sull’acqua per la libertà di informazione e la tutela dei diritti umani, in memoria di tutti i caduti sui fronti di guerra e in contesti difficili. Un progetto che purtroppo continua a rivelarsi profetico. LB

 

 

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