Editoriale

Il giornalismo indicato da Johan Galtung fra gli strumenti per costruire la pace

Il fondatore del Centro di Ricerca sulla Pace di Oslo ha descritto il ruolo dell’informazione per superare la propaganda che alimenta guerre e conflitti

OSSIGENO – 4 febbraio 2025 – In tempi difficili come questi dobbiamo ricordare i molti strumenti che abbiamo per costruire la pace, per ristabilirla e per stabilizzarla. Quali sono questi strumenti? Certamente la diplomazia, le istituzioni multinazionali, la politica, le dichiarazioni pubbliche, le manifestazioni pacifiste e anche il giornalismo.

Il giornalismo, è bene ricordarlo, se vuole, può svolgere un ruolo speciale per la pace, e in parte già lo svolge. Lo svolge quando non si limita, come purtroppo accade spesso, a riecheggiare acriticamente i botta-e-risposta propagandistici. Lo svolge quando, invece ,ci aiuta a decifrare i messaggi, quando ci fa vedere gli errori e gli orrori che i contendenti non vorrebbero mostrare, quando ci aiuta a inquadrare bene i fatti mostrando gli interessi in gioco e i punti deboli di ognuna delle parti in lotta, ricostruendo antefatti, promesse e manchevolezze di ciascuno dei contendenti, quando aggiunge pagine fresche ai vecchi libri di storia e le scrive senza dimenticare le colpe e le responsabilità nostre e dei nostri rappresentanti politici.Insomma, il giornalismo svolge la sua funzione quando riesce a fare vero giornalismo, una cosa non facile, una cosa piuttosto rara, per varie ragioni. 

Innanzitutto perché il giornalismo, come sappiamo, ha molti problemi che indeboliscono la possibilità di fare le cose che abbiamo elencato: in poche parole, la possibilità di cercare e diffondere la verità con competenza, senza subire censure e condizionamenti di sorta.

Intendiamoci, la completa autonomia e indipendenza del giornalismo è un’utopia, un ideale che si cerca di realizzare come meglio si può, come avviene per altre grandi missioni umane (penso, ad esempio, alla giustizia affidata alla macchina giudiziaria)

Senza scomodare le categorie filosofiche e senza sminuire il grande valore del giornalismo, possiamo dire che quella del giornalismo puro e senza macchia è una missione impossibile, ma aggiungendo che tuttavia, con competenza, coraggio e determinazione, mettendo nel conto alcuni rischi, è ancora possibile fare un giornalismo che riesce a evitare le censure e i condizionamenti e fa affiorare la verità o brandelli di essa.

Lo dico per esperienza, da direttore dell’osservatorio italiano sulle intimidazioni ai giornalisti Ossigeno per l’informazione, che in 19 anni ha contato 7200 (settemiladuecento) giornalisti minacciati. Un brutto problema che però ha un lato positivo: fa vedere che 7200 giornalisti, per diffondere piccole e grandi verità, si sono battuti, hanno sfidato rischi ampiamente prevedibili.

Questi giornalisti non sono meno coraggiosi di quelli che vanno sui fronti militari per documentare i crimini di guerra e sono una grande risorsa della nostra democrazia. E in realtà sono molti di più di quelli che Ossigeno è riuscito a contare.

Dobbiamo investire su di loro per promuovere quel “giornalismo di pace” che ci serve, che già nel 1959 fu concepito dal grande sociologo e pensatore norvegese Johan Galtung, scomparso lo scorso febbraio 2024 a 94 anni. Galtung è stato definito definito il Picasso della pace, perché non si limitò a chinarsi sui libri per enunciare i concetti basilari che tuttora sono l’anima dei movimenti pacifisti non violenti. Durante la guerra fredda, quando il cielo era molto più cupo di adesso,  fondò il Centro di Ricerca sulla Pace di Oslo  (PRIO) e il  Journal of Peace Research, studiò l’insegnamento del Mahatma Ghandi, fu amico di Danilo Dolci e partecipe delle sue più celebri inchieste sul campo, quelle che fecero conoscere al mondo la condizione di schiavismo che negli anni Cinquanta imperava nelle campagne siciliane intorno a Partinico. Grazie a John Galtung il giornalismo di pace non è all’anno zero. Le sue idee e le sue esperienze ci ispirano e ci fanno sperare. 

Io credo che oggi possa crearsi un ruolo, uno spazio e un futuro anche per nuove forme di giornalismo, per un giornalismo più libero, più indipendente dal potere politico ed economico, in grado di illuminare la realtà senza nascondere nulla, mostrandola per quello che è, raccontando i fatti e le ragioni e i torti di ognuno dopo avere sottoposto ogni cosa alle prove del nove che il giornalismo sa fare, che spesso rinuncia a fare trasformandosi in propaganda, in oracolo e vano vaticinio del futuro.

Questo articolo di Alberto Spampinato è stato pubblicato sulla rivista “Voci di dentro” diretta da Francesco Lo Piccolo, nel numero di dicembre 2024 

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