La sentenza-bis per le botte a Stefano Origone. 12 mesi a 4 poliziotti per lesioni dolose
Pene più severe dei 40 giorni inflitti in primo grado, convertiti in una multa in appello. Perché la Cassazione aveva detto: così non va bene, rifate il processo
OSSIGENO 6 giugno 2025 – A sei anni dai fatti e dopo due sentenze più blande, che hanno suscitato critiche e proteste e sono state ritenute inadeguate dalla Corte di Cassazione, la Terza Sezione penale della Corte d’Appello di Genova ha emesso una sentenza di condanna più giusta ed equilibrata per i quattro poliziotti ritenuti responsabili delle gravi lesioni causate il 23 maggio 2019 a Genova al giornalista di “Repubblica” Stefano Origone, picchiato dagli agenti mentre da cronista seguiva una manifestazione di protesta contro la decisione di concedere a Casapound l’autorizzazione a tenere un comizio nel pieno centro del capoluogo ligure.
Le lesioni riportate dal giornalista furono gravi: fratture a costole e dita di una mano, traumi cranici e numerosi ematomi. Stefano Origone ha più volte dichiarato di aver urlato “sono un giornalista” durante l’aggressione, senza ottenere alcuna reazione di contenimento da parte degli agenti prima che ne intervenisse uno che lo conosceva.
In primo grado ciascuno dei quattro agenti, scegliendo il rito abbreviato (che comporta lo “sconto” di un terzo della pena) erano stati condannati a 40 giorni di reclusione ciascuno. Poi, a gennaio 2023, il processo di appello aveva trasformato la pena detentiva in una multa di 2582 euro a testa, più una provvisionale di 5.000 euro per risarcimento. Secondo i giudici d’appello, gli agenti avevano agito in una situazione di grande concitazione e confusione, presumendo erroneamente che Stefano Origone fosse un manifestante violento.
La sentenza bis
Ora, il 13 gennaio 2025, la la sentenza-bis della Corte d’Appello ha giudicato gli agenti di polizia colpevoli del reato loro originariamente contestato, ovvero lesioni aggravate in concorso, ai danni del giornalista Stefano Origone e ha condannato ciascun imputato a un anno di reclusione, con la sospensione condizionale della pena e la non menzione nel casellario giudiziale. Inoltre la Corte ha condannato gli imputati, in solido, al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese legali della parte civile, quantificate in oltre 6.600 euro tra Cassazione e giudizio di rinvio.
Una sentenza importante
Questa sentenza è più severa nella misura della pena detentiva e nella configurazione dell’accusa e tiene conto dell’effettiva gravità dell’episodio, senza infierire sui colpevoli, ai quali ha concesso i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione nel casellario giudiziale. E’una sentenza che restituisce piena credibilità all’operato della giustizia e riafferma che in nessun caso si può giustificare l’aggressione da parte delle forze di polizia incaricate di mantenere l’ordine pubblico a un giornalista disarmato, riconoscibile e impegnato a documentare i fatti.
La Corte d’Appello di Genova ha dovuto rifare il processo di appello dopo che, il 21 gennaio 2024, la Cassazione ha annullato la sentenza già emessa e ha chiesto un nuovo pronunciamento. La Procura Generale di Genova aveva fatto ricorso riguardo alla configurazione del reato contestato agli agenti, chiedendo di considerare dolose le lesioni e non la conseguenza di un eccesso colposo.
Le motivazioni della Cassazione
La Corte Suprema, contestando la qualificazione del fatto come colposo e censurando l’uso improprio della scriminante putativa (ossia l’errore scusabile nell’uso della forza) ha demolito l’impianto della sentenza d’appello. Secondo la Cassazione, nessun elemento concreto giustificava l’errore degli agenti: Stefano Origone era disarmato, non stava opponendo resistenza, né mostrava comportamenti ostili. “La confusione ambientale non può da sola fondare l’errore sull’esistenza della scriminante” scrivono i giudici nella motivazione. “Non vi è stata alcuna concreta valutazione circa la proporzionalità e la necessità dell’uso della forza.”
La critica della Cassazione sull’assenza di motivazioni specifiche per il comportamento degli agenti è particolarmente dura. La Suprema Corte sottolinea che ogni singolo colpo – specialmente quelli inferti quando la vittima era già a terra – avrebbe richiesto una valutazione oggettiva e motivata circa la presunta pericolosità di Stefano Origone.
L’Avv. Di Pietro: la libertà di stampa non si manganella
“Questa sentenza è un segnale di giustizia e un monito istituzionale”, ha commentato l’avv. Andrea Di Pietro, coordinatore dello Sportello Legale di Ossigeno.“Rappresenta una tappa fondamentale nel riconoscimento della responsabilità penale di chi, indossando una divisa, esercita una violenza ingiustificabile contro un giornalista nell’esercizio delle sue funzioni. È un importante passo in avanti verso l’affermazione del principio che la libertà di stampa non si manganella, mai, nemmeno in situazioni di tensione di piazza. Come avvocato di Ossigeno per l’Informazione e da anni impegnato nella difesa della libertà di stampa, ritengo che questa decisione rafforzi il presidio costituzionale sul diritto all’informazione e costituisca un monito verso ogni abuso di potere ai danni dei cronisti.”
Spampinato per Ossigeno: preoccupazioni e vuoti da colmare
“Sei anni per punire nel modo corretto le lesioni dolose – ha commentato il presidente di Ossigeno, Alberto Spampinato – da agenti di polizia in servizio di ordine pubblico a un giornalista che seguiva pacificamente lo svolgimento di una pubblica manifestazione di protesta, sono davvero troppi. E’ preoccupante anche il fatto che ci sia voluto l’intervento della Cassazione per ottenere una corretta configurazione del reato contestato. Preoccupa ancor di più che tutto ciò sia avvenuto a Genova, il teatro dei drammatici incidenti del G7 del 2001. Evidentemente nella nostra società c’è più di un vuoto da colmare. C’è innanzitutto nella formazione dei giudici e delle forre dell’ordine, se ogni volta, di fronte a gravi incidenti, si fatica a riscoprire qual è il ruolo della polizia e dei giornalisti in una società democratica. Fra l’altro questo processo è partito a Genova rifiutando la costituzione di parte civile di Ossigeno e delle organizzazioni dei giornalisti, vista come un’ingerenza indebita, mentre invece avrebbe aiutato a mettere fin dall’inizio il giudizio sui binari giusti. Questo lungo processo ha messo in evidenza problemi che, sbagliando, si continua a rinviare. Uno fra tutti riguarda la riconoscibilità degli agenti in servizio, un’altro la riconoscibilità evidente dei cronisti durante le manifestazioni, un’altro la definizione di un codice di comportamento condiviso da poliziotti e giornalisti da osservare durante le manifestazioni, come esiste in altri paesi.Colmare questi vuoti è sempre più necessario”. ASP
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