Editoriale

Polizia e riprese video. Regole e fair play

Gli agenti non possono cancellare o sequestrare foto e filmati senza il mandato di un magistrato. Il caso di Cosimo Caridi a Roma è emblematico

Il trattamento poco ortodosso riservato il 10 dicembre 2019 al giornalista Cosimo Caridi da due agenti della polizia municipale di Roma Capitale mostra quanto sia necessario avviare un dialogo fra cronisti e forze dell’ordine per evitare incomprensioni, scontri e incidenti. Molti di questi incidenti potrebbero essere evitati con una maggiore comprensione reciproca, promuovendo incontri, corsi di formazione per fare comprendere meglio a ciascuna delle parti le esigenze e le prerogative dell’altra.

In questo senso, questo incidente ha dimostrato quanto sia necessario, utile ed attuale il Codice europeo di condotta per la polizia (vedi) presentato pochi giorni fa a Bruxelles da un gruppo di associazioni non governative fra le quali c’è Ossigeno per l’Informazione.

Lo scopo di questo Codice è proprio quello di indicare alcune linee guida lungo le quali possono muoversi quanti si propongono di intervenire con la formazione professionale e promuovendo il dialogo fra le organizzazioni dei giornalisti e le forze dell’ordine, per prevenire alcuni incidenti davvero inqualificabili come questo, dovuti almeno in parte alla scarsa conoscenza delle norme di diritto che consentono ai giornalisti di fare il loro lavoro e alle forze dell’ordine di procedere alla loro identificazione.

Le linee guida sviluppano i principi e le leggi che disciplinano i diritti dei cronisti, anche di quelli che fanno cronaca usando la telecamera che, diciamolo, non sono di una razza diversa e inferiore, sono soltanto quelli che si trovano in prima linea e perciò sono più esposti degli altri alle ritorsioni immediate. Anche loro certamente devono rispettare delle regole e un fair play che non sempre viene rispettato.

Il Codice ricorda, fra l’altro, con quali limitazioni un agente di polizia in servizio di ordine pubblico può esercitare legittimamente i suoi poteri nei confronti di un cronista che sta facendo il suo lavoro e quindi esercita funzione di pubblico interesse.

Il Codice dice che alcune cose i poliziotti non le possono proprio fare: ad esempio non possono impedire le riprese video di un’operazione di polizia che si svolge in un luogo pubblico, né possono pretendere di non essere ripresi mentre sono impegnati in quelle mansioni.

Altre cose gli agenti di polizia le possono fare, ma soltanto se hanno uno specifico mandato del magistrato: ad esempio, non possono ordinare la cancellazione delle riprese effettuate né il sequestro o la distruzione di rullini e schede di memoria.

Sembra che nel caso di Cosimo Caridi, fermato e denunciato per interruzione di pubblico servizi, alcune di queste limitazioni non siano state pienamente rispettate. Il video delle contestazioni che gli sono state fatte a caldo è una piccola enciclopedia della concitazione che accompagna molte operazioni di ordine pubblico. Una concitazione in parte comprensibile, al netto dell’arroganza e dell’ignoranza di regole fondamentali che emergono da numerosi episodi. A prescindere dall’episodio di Roma, che è soltato lo spunto per queste riflessioni, sembra che l’ignoranza delle norme di legge che – in alcuni casi – consentono ai giornalisti di fare il loro lavoro senza alcuna autorizzazione degli agenti impegnati sul campo, sia piuttosto diffusa, e non per loro principale ressponsabilità.

Perciò sarebbe utile promuovere incontri fra gli agenti di polizia e i cronisti, alla presenza di esperti di diritto all’informazione in grado di fornire un quadro chiaro delle prerogative di ciascuna parte.

Ossigeno propone da tempo iniziative di questo tipo che sono, fra l’altro, nei protocolli suggeriti dalle organizzazioni internazionali. Sarebbe l’ora di cominciare a organizzare sistematicamente questi “incontri ravvicinati del terzo tipo” nel nuovo anno che già batte alle nostre porte. ASP

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