Trenta giornalisti condannati a pene carcerarie. Chi sono

Carcere per diffamazione – Dal 2013, il parlamento italiano sta discutendo una proposta legge di tre articoli per abrogare la pena detentiva per il reato di diffamazione a mezzo stampa (fino a sei anni di reclusione per le forme aggravate) e sostituire queste pene con le multe. Intanto i giudici hanno continuano a emettere quelle sentenze che condannano i giornalisti a pene detentive per i quali tutte le istituzioni internazionali hanno paragonato il sistema giuridico italiano a quello dei paesi autoritari o a democrazia debole, che puniscono con il carcere la diffamazione a mezzo stampa proprio per intimidire i giornali e i giornalisti. Da ottobre 2011 a maggio 2015 i giudici italiani hanno inflitto condanne a pene detentive per diffamazione almeno trenta volte ad altrettanti giornalisti, fotoreporter e blogger, per complessivi 17 anni di carcere. L’esecuzione delle condanne è stata sospesa, tranne per Francesco Gangemi e Alessandro Sallusti, che hanno scontato alcuni giorni in carcere e in alcuni casi è stata trasformata in multe. Diciamo “almeno” perché questo è ciò che risulta dai casi conosciuti da Ossigeno attraverso il monitoraggio che, secondo le stime permettono di vedere solo un numero limitato dei casi che si verificano, circa uno su dieci. Nel rapporto scaricabile dal sito ossigeno.info gli episodi dai quali è stato ricavato il dato. Questi altri dati sono tratti dal Rapporto Ossigeno di cui il 3 luglio 2015, è stato anticipato il capitolo sulla diffamazione in Italia nel corso di una conferenza stampa alla Sala Stampa della Camera, alla quale hanno partecipato, il vice presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, on. Claudio Fava, Alberto Spampinato e Giuseppe F. Mennella, direttore e segretario dell’Osservatorio promosso da FNSI e Ordine dei Giornalisti.

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Il dossier di 40 pagine è intitolato Rassegna di querele e altre azioni legali pretestuose contro i giornalisti in Italia.
“Le sentenze che prevedono pene carcerarie sono molto numerose, almeno dieci volte più numerose. Il nostro dato è dato parziale – ha sottolineato Spampinato – perché si basa sui pochi casi che riusciamo a conoscere. Il Ministero della Giustizia dispone dei dati completi e il Ministro farebbe bene a pubblicarli, anche nell’interesse dei parlamentari che discutono una modifica legislativa su questo punto senza sapere cosa accade veramente ogni giorno nelle redazioni dei giornali e nei tribunali. Facciamo appello anche ai giornalisti affinché superino la frustrazione e il senso di vergogna che provano quando sono condannati a pene detentive e a farci sapere cosa prevedono le sentenze nei loro confronti. Nessuno deve vergognarsi di subire pene anacronistiche e sproporzionate”.

Ddl diffamazione – Su testo del ddl di legge in materia di diffamazione approvato in seconda lettura dalla Camera dei Deputati a giugno 2015 con alcune modifiche, e ora trasmesso al Senato, Alberto Spampinato ha detto: “E’ l’ennesima occasione sprecata. E’ ormai certo che questa innovazione, quando sarà introdotta, risolverà solo qualche problemi ma non allineerà la normativa italiana alla giurisprudenza consolidata della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo. Non risolverà i noti problemi e anzi ne creerà di nuovi e più gravi. Appena entrerà in vigore molti giornali on line, compreso quello pubblicato da Ossigeno per l’Informazione, cesseranno le pubblicazioni. Appena sarà entrata in vigore, il Parlamento dovrà rimettersi al lavoro per apportare una rapida e profonda correzione approvando una nuova legge. E’ triste che il Parlamento non avverta la necessità e l’urgenza di adottare i provvedimenti che sono veramente necessari. Ad esempio, l’abuso delle cause per risarcimento danni per diffamazione è una delle grandi piaghe che la proposta di legge tratta all’acqua di rose. Per dare le dimensioni del problema cito un dato fornito dalla FIEG: negli ultimi dieci anni a Roma e Milano si sono svolte 400 cause con richieste risarcitorie del valore di due miliardi di euro; la durata media delle cause è stata di nove anni”.

Tre impegni del governo italiano – Alberto Spampinato ha sottolineato con soddisfazione che a dicembre 2014 a Ginevra, davanti al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, il governo italiano ha accettato le seguenti raccomandazioni sulla libertà e la tutela dei giornalisti e dei media, presentate, il 27 ottobre 2014 (A / HRC / 28/4) nel corso del secondo ciclo della revisione periodica universale (UPR) dell’attuazione dei principi:

1 Promuovere e tutelare il pluralismo dei media, includendo nella normativa in materia, il principio di incompatibilità degli eletti o di chi ricopre un incarico governativo con la proprietà e il controllo dei mass-media (Uzbekistan);
2 Indagare e perseguire tutti i colpevoli di violenza e di crimini di intimidazione contro i giornalisti (Azerbaigian);
3 Prendere le misure giuridiche necessarie per proteggere i giornalisti e indagare tutti gli atti di intimidazione e di violenza contro i giornalisti (Botswana);

Paolo Gentiloni, ministro degli Esteri, messaggio inviato a Ossigeno per l’Informazione in occasione della conferenza internazione del 2 luglio 2015 “Proteggere i giornalisti, conoscere le verità scomode”
“Non credo che in Italia si possa affermare che l’informazione non sia libera, credo invece che molti giornalisti non siano liberi. Liberi di scrivere la verità, liberi di indagare, liberi di esercitare al meglio la loro professione. Penso alle intimidazioni e alle minacce quotidiane contro coloro che affrontano temi come la mafia o la criminalità organizzata. Nella storia del nostro Paese, c’è purtroppo una lunga lista di uomini e donne che hanno pagato con la vita la ricerca della verità. Penso all’epoca degli “anni di piombo”, alla stagione degli omicidi di mafia. Ma se oggi l’imposizione del silenzio è meno violenta, non dobbiamo illuderci. Le armi sono diventate più subdole ma restano pericolose, agiscono nell’ombra, non scatenando più le reazioni indignate dell’opinione pubblica, ma isolando le voci di denuncia. Ben diversa è la situazione in alcuni Paesi europei, dove a volte sono le stesse istituzioni a minacciare la libertà di informazione”.

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