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Violazioni verificate

Diffamazione. 95mila € danni dal “Fatto” a Tiziano Renzi

La condanna in Tribunale per diffamazione per tre articoli. Allarme del direttore Travaglio: così si mette a rischio la vita del giornale

Il giornalista Marco Travaglio, direttore de Il Fatto Quotodiano, la giornalista Gaia Scacciavillani e l’editore del quotidiano sono stati condannati per diffamazione a mezzo stampa dal tribunale civile di Firenze a pagare 95mila euro a titolo di danni a Tiziano Renzi (il padre dell’ex presidente del Consiglio, Matteo), e a pubblicare la sentenza sia sull’edizione cartacea sia su quella online del giornale.

Tiziano Renzi aveva chiesto 300mila euro di risarcimento per il contenuto di sei articoli pubblicati tra il 2015 e il 2016 relativi ai suoi affari e alle indagini a suo carico per bancarotta. L’accusa venne archiviata. Il giudice ha ritenuto diffamatori tre articoli per ciascuno dei quali il Fatto dovrà pagare un risarcimento di 30mila euro, più 5 mila euro di riparazione pecuniaria.

Travaglio è stato condannato per aver scritto due editoriali, il 24 dicembre 2015 e il 16 gennaio 2016: nel primo, intitolato “I Babboccioni”, raccontando l’indagine in corso a Genova sulla Chil Post, società di distribuzione di pubblicità e giornali, Travaglio aveva usato il termine “fa bancarotta”; nel secondo, “Hasta la lista”, Tiziano Renzi era stato accostato per “affarucci” a Valentino Mureddu, iscritto, secondo le cronache, alla P3.

Il giudice ha dichiarato diffamatorio anche il titolo di un articolo a firma di Gaia Scacciavillani, pubblicato sull’edizione online del quotidiano il 9 gennaio 2016. “Banca Etruria, papà Renzi e Rosi. La coop degli affari adesso è nel mirino dei pm”: così si intitolava il testo nel quale Scacciavillani  raccontava le indagini sulla coop Castelnuovese, che era stata appena perquisita e faceva capo all’ex presidente di Etruria Lorenzo Rosi, in affari con Luigi Dagostino, a sua volta in affari con papà Renzi, che non era indagato.

La notizia della condanna è stata resa pubblica da Matteo Renzi sul suo profilo Twitter, il 22 ottobre 2018, commentando: “Oggi la prima sentenza … è solo l’inizio: il tempo è galantuomo”. Poi, l’ex premier ha aggiunto sul suo profilo Facebook: “Niente potrà ripagare l’enorme mole di fango buttata addosso alla mia famiglia, a mio padre, alla sua salute. Una campagna di odio senza precedenti.  Ma qualcuno inizia a pagare almeno i danni”.

Nell’editoriale pubblicato il 23 ottobre (leggi) il direttore del Fatto Quotidiano ha annunciato che farà ricorso confidando di essere assolto nel processo di secondo grado. Inoltre, ha lanciato un appello ai lettori a sostenere le finanze del giornale, minacciate anche da un’altra condanna per diffamazione (non ancora esecutiva) a versare 150mila euro.

“Quando un Tribunale ti dà torto e sai di avere ragione – ha scritto Marco Travaglio – impugni la sentenza e speri che i giudici di secondo grado d’appello te la riconoscano. Così ci siamo sempre comportati, senza fare tante storie. Ora però la sentenza del Tribunale civile di Firenze che dà torto al Fatto (cioè al sottoscritto e a una brava collega), imponendoci di versare lo spropositato risarcimento di 95 mila euro a Tiziano Renzi e creando un precedente che mette a rischio la sopravvivenza del nostro giornale, ci costringe a rivolgerci subito a voi lettori”, ha scritto il direttore de Il Fatto Quotidiano.

“O la classe politica mette finalmente mano a una seria riforma della diffamazione a mezzo stampa, dando valore alle rettifiche e alle smentite, imponendo cauzioni contro le liti temerarie, levando la competenza ai tribunali dove risiedono i denuncianti e soprattutto distinguendo i fatti falsi e gli insulti (che, senza rettifiche e scuse date con evidenza, vanno sanzionati) dalle opinioni critiche e dalle battute satiriche (che devono essere sempre legittime) – ha commentato ancora Travaglio nel suo articolo rivolto ai lettori della testata –  . Oppure noi smettiamo di scrivere cose vere e di criticare chi lo merita. Ma in questo caso verrebbe meno la ragione stessa del nostro mestiere, almeno per come lo intendiamo noi”.

In quella stessa vicenda per diffamazione erano coinvolti anche i giornalisti Peter Gomez e Giordano Cardone per altri articoli pubblicati sull’edizione online. Questi due sono stati assolti. Il padre dell’ex presidente del Consiglio è stato in questo caso condannato al pagamento delle spese processuali.

RDM

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