Processo Rocchelli. Non sparate sui cronisti, dicono i giudici di Pavia

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I giornalisti che vanno nelle zone di guerra sono testimoni in nome collettivo che documentano i fatti e arginano l’uso sproporzionato e disumano della forza militare. Troppo spesso chi li uccide rimane impunito

Sparare sui civili disarmati è un crimine gravissimo, in tempo di pace e anche in tempo di guerra. Lo è anche (e forse ancor di più) se i civili presi di mira sono giornalisti intenti a documentare in nome collettivo ciò che accade, da testimoni pubblici impegnati a mostrare ciò che accade veramente sul terreno, senza prendere parte al conflitto. Perciò chi spara sui cronisti, chi li uccide risponde di omicidio volontario e non può giustificarsi dicendo semplicemente che era in corso una guerra e durante le guerre queste cose possono accadere. Questo non basta per dimostrare la propria innocenza, se non si può dimostrare di avere fatto tutto il possibile per evitare la morte di testimoni inermi.

Tutto questo dice la sentenza con la quale il 12 luglio 2019 la Corte d’Assise di Pavia ha condannato a 24 anni di reclusione il militare della Guardia Nazionale ucraina, Vitaly Markiv ritenendolo responsabile dell’uccisione del foto reporter di Pavia Andrea Rocchelli. Leggi l’articolo sulla sentenza

Vitaly Markiv ha affrontato il processo in stato di detenzione. La pubblica accusa ha chiesto la sua condanna, ma ha anche proposto un atto di clemenza chiedendo alla Corte di concedergli le attenuanti generiche. Così la pena prevista sarebbe stata ridotta da 24 a 17 anni. Qualcuno ha interpretato questa clemenza come un segno di debolezza e la difesa ha creduto di poter ottenere facilmente l’assoluzione con formula piena. Una previsione sbagliata. La Corte ha condannato e non ha concesso l’attenuante proposta dal pm.

Non ci può essere alcuna attenuante, dice la sentenza, per chi, vestendo una divisa, segnala da 1500 metri di distanza, come bersaglio, il taxi che trasporta due giornalisti e il loro interprete disarmato. Nè si può lasciar correre la responsabilità del comandante che, ricevuta la segnalazione, ha attivato l’intenso tiro dei mortai sui malcapitati cronisti, uccidendone due. Non si può. Perciò la Corte ha già avviato l’iter per incriminare e processare anche quel comandante. sorpresa e le proteste dai sostenitori dell’imputato, probabilmente sarà riesaminata in appello. C’è da augurarsi che sia confermata, perché dice un “no” secco, assoluto, al fatalismo che ha sempre dominato queste vicende, giustificando, perdonando, riducendo a danni collaterali di poca importanza i crimini con i quali si eliminano dalle aree di crisi, dalle zone di guerra i testimoni più scomodi, i giornalisti che potrebbero documentare atti disumani contro i civili, o l’uso spropositato e strumentale della forza militare. I giornalisti, con la loro presenza, con la loro attività, mettono un argine a queste e altre gravi violenze.

Questa sentenza ha gia suscitato sorpresa e le proteste dei sostenitori dell’imputato, secondo i quali l’impianto probatorio non giustifica la condanna. Tutto ciò sarà riesaminato nel processo d’appello. C’è da augurarsi che lo sforzo per assicurare alla giustizia sia confermato, insieme al “no” secco, assoluto, che la sentenza oppone al fatalismo che ha sempre dominato queste vicende, giustificando, perdonando, riducendo a danni collaterali di lieve importanza i crimini con i quali le forze militari in campo eliminano dalle aree di crisi, dalle zone di guerra i testimoni più scomodi, i giornalisti che potrebbero documentare atti disumani contro i civili, o l’uso spropositato e strumentale della forza militare. Perché è noto che i giornalisti, con la loro presenza, con la loro attività indipendente, mettono un argine a queste e altre gravi violenze. Dunque il mondo civile non può essere comprensivo verso chi elimina questi testimoni in nome collettivo.

I giornalisti uccisi in queste circostanze sono moltissimi. Le statistiche dell’UNESCO dicono che l’impunità per questi omicidi è quasi assoluta. La sentenza di Pavia interrompe questa impunità. In questo senso è una grande sentenza che, fra l’altro, esprime l’anelito di pace che anima gli italiani. Quando sarà stata fatta piena giustizia, quella giustizia che i familiari di Andrea Rocchelli hanno chiesto quale unica consolazione del loro dolore, ci sara tempo e modo di trattare con clemenza chi ha sbagliato. ASP

Ossigeno per l’informazione, in collaborazione con La Provincia Pavese, Unione Nazionale Cronisti Italiani, Ordine Giornalisti Lombardia, ha assicurato una copertura giornalistica speciale, puntuale e continuativa, delle udienze del processo presso la Corte d’Assise di Pavia in cui è stato giudicato e condannato il presunto responsabile dell’uccisione del fotoreporter italiano Andrea Rocchelli . Questa testo come le cronache di Giacomo Bertoni , è stato pubblicato sul sito web ossigeno.info ed è stato inviato a Vienna al Rappresentante per la Libertà dei Media dell’Osce, che segue con attenzione la vicenda. Leggi qui i precedenti articoli

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