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Cedu. Bocciata la condanna di Renzo Magosso nel 2004

Fu condannato per diffamazione insieme a Brindani per aver scritto che i CC conoscevano piani delle BR contro Walter Tobagi

I giornalisti Renzo Magosso e Umberto Brindani non dovevano essere condannati per diffamazione a causa dell’articolo, pubblicato sul settimanale Gente nel giugno del 2004 sull’omicidio di Walter Tobagi, in cui sostenevano che i carabinieri sapevano da tempo che il giornalista era nel mirino dei terroristi. Lo ha stabilito il 16 gennaio 2020 la Corte europea dei diritti umani di STrasburgo nella sentenza con cui ha ritenuto l’Italia colpevole per la violazione del diritto alla libertà d’espressione dei due uomini.

La Corte di Strasburgo ha determinato che l’Italia deve versare a ciascuno dei due giornalisti i 15mila euro che hanno chiesto come danno morale.

Nel condannare l’Italia la Corte di Strasburgo punta il dito contro la valutazione fatta dai tribunali italiani che hanno condannato Magosso e Bridani per aver diffamato il defunto generale dei Carabinieri Umberto Bonaventura e il generale dell’Arma in pensione Alessandro Ruffino. Nella sentenza sono contenute numerose critiche a come il caso è stato giudicato e la Corte arriva alla conclusione che “la condanna dei due giornalisti è stata un’ingerenza sproporzionata nel loro diritto alla libertà d’espressione e quindi non necessaria in una società democratica”.

Tra le critiche sollevate, quella di non aver dato importanza al fatto che l’articolo in questione si basava su dichiarazioni fatte da terzi che il giornalista stava riportando. “Sanzionare un giornalista per il suo aiuto alla diffusione di dichiarazioni fatte da una terza persona durante un’intervista intralcerebbe gravemente il contributo della stampa alle discussioni su problemi d’interesse generale” e la sanzione può essere ammessa solo se ci sono “ragioni particolarmente gravi”.

La Corte di Strasburgo ricorda che quando un giornalista riporta dichiarazioni altrui i tribunali non devono domandarsi se l’autore dell’articolo può provare la veridicità delle dichiarazioni ma se ha agito in buona fede e fatto i dovuti controlli di verifica. A tale proposito la Corte di Strasburgo osserva che Magosso e Brindani “hanno fornito un numero consistente di documenti e di elementi che provano che hanno effettuato le verifiche che permettono di considerare la versione dei fatti riportata nell’articolo come credibile e fondata su una solida base fattuale”.

La Corte di Strasburgo critica anche l’ammontare dei danni morali (circa 150mila euro) che i due giornalisti sono stati condannati a versare, affermando che il fatto che siano state pagate dalla casa editrice del settimanale Gente non cambia nulla perché non si può negare “l’effetto dissuasivo di tali sanzioni sul ruolo del giornalista nel contribuire alla discussione pubblica su temi che interessano la collettività”. (ANSA)

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