Enna. Il Tribunale archivia altre 3 querele del sacerdote condannato per violenza sessuale

Per Ossigeno questa vicenda giudiziaria paradossale mostra chiaramente tutto ciò che non va nella legge italiana sulla diffamazione

OSSIGENO 24 giugno 2025 – Il tribunale di Enna ha archiviato altre tre querele presentate dal sacerdote Giuseppe Rugolo (condannato dal tribunale di Enna a 4 anni e 6 mesi di reclusione per violenza sessuale su minori) contro la giornalista Pierelisa Rizzo, accusata dal sacerdote di aver commesso due reati (diffamazione a mezzo stampa e diffusione di atti procedurali) con la pubblicazione dei suoi articoli sugli sviluppi del processo.

IL PROCESSO – I giudici di Enna, come quelli di Savona (che avevano già archiviato una querela analoga contro il presidente di Rete Abuso, Francesco Zanardi) hanno stabilito che Pierelisa Rizzo ha riportato le notizie sul processo contestate dal sacerdote rispettando le norme di legge dato che “non sussiste il divieto di pubblicazione, anche parziale degli atti del dibattimento celebrato a porte chiuse”. La difesa della giornalista è stata sostenuta economicamente da Ossigeno per l’informazione, l’osservatorio nato per documentare e analizzare il crescendo di intimidazioni e minacce nei confronti dei giornalisti italiani. Pierelisa Rizzo ha avuto solidarietà dall’Ordine dei giornalisti di Sicilia e dell’Assostampa.

LA PROCURA della Repubblica aveva proposto di archiviare queste querele ritenendo le accuse infondate. Ma il querelante, attraverso i suoi legali si era opposto, chiedendo di indagare sulla cronista, sequestrandole il telefono cellulare e i dispositivi informatici per scoprire le sue fonti. Così si è arrivati all’udienza con la quale il tribunale di Enna ha respinto queste richieste e, con l’archiviazione, ha scritto la parola fine.

OSSIGENO – Il commento del presidente Alberto Spampinato: “Pierelisa Rizzo è stata trascinata temerariamente in una vicenda giudiziaria paradossale che l’ha costretta, senza alcuna colpa e senza accuse fondate, a difendersi in giudizio con l’aiuto dei suoi avvocati (Eleanna Parasiliti Molica del Foro di Enna e Giovanni Di Giovanni, del Foro di Caltanissetta) sostenendo spese di difesa che non dovrebbero mai gravare su chi è innocente. Da questo punto di vista la sua vicenda giudiziaria è emblematica e ha anche un valore didascalico. Mostra che per assolvere correttamente il dovere di informare i cittadini, i giornalisti devono avere il coraggio di  raccontare anche i fatti spiacevoli di persone e istituzioni forti e potenti, devono farlo anche rischiando di trovarsi isolati e perciò occorrono reti di protezioni e sostegno. Il caso delle querele di Giuseppe Rugolo ci fornisce un esempio concreto della necessità di questa rete di sostegno e ci ricorda perché in Italia bisogna modificare la legge sulla diffamazione a mezzo stampa, per abrogare questo reato e adeguare la procedure con cui vengono trattate le querele, per poter archiviare d’ufficio quelle palesemente strumentali, temerarie, infondate come queste”.

IL CASO di Giuseppe Rugolo si è imposto all’attenzione generale perché egli ha querelato più volte Pierelisa Rizzo, e insieme a lei altri 6 giornalisti, il presidente di Rete l’Abuso, unica associazione italiana che si occupa di sopravvissuti ad abusi clericali, Francesco Zanardi, e una delle vittime del prete, Antonio Messina dalla cui denuncia è scaturita l’inchiesta che ha portato alla condanna di Rugolo. Tutti accusati di aver violato un presunto diritto del querelante di essere processato senza informare i cittadini, perché il suo processo si è svolto a porte chiuse. Un diritto che non esiste, perché i cittadini hanno a loro volta diritto di sapere come viene amministrata la giustizia.

Pierelisa Rizzo guarda avanti e commenta con queste parole: “ Sono grata alla giustizia e ai magistrati che hanno riconosciuto la temerarietà di queste querele fatte solo per bloccare il flusso di informazione. Il processo a Giuseppe Rugolo si è svolto a porte chiuse, ma il suo svolgimento andava raccontato, perché ha svelato uno scenario inquietante nella Diocesi di Piazza Armerina, ha portato alla condanna del sacerdote, all’incriminazione per falsa testimonianza del vescovo Rosario Gisana e del vicario giudiziale Vincenzo Murgano”.

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