Memoria

Mio figlio Simone Camilli amava conoscere da vicino altre fedi e culture

di Maria Laura Franciosi – Nel suo percorso professionale aveva seguito l’impulso maturato durante gli studi di storia delle religioni. Da giornalista raccontava crudamente i fatti

OSSIGENO 13 agosto 2021 – Simone Camilli, ucciso nella Striscia di Gaza il 13 agosto 2014 (vedi) ha vissuto un’esperienza particolare che gli ha permesso di seguire l’impulso dei suoi studi e il suo desiderio di conoscere e far conoscere altre culture del mondo. E di cercare di farle dialogare tra loro, dice suo padre, Pier Luigi Camilli,ricostruendone il profilo umano e culturale per il sito “Ossigeno – Cercavano la verità”(vedi) nel settimo anniversario della tragica morte .

“Ho riflettuto sulla coincidenza – ha affermato – che la sua vita di lavoro sia iniziata con Papa Giovanni Paolo II e sia proseguita come inviato a Gerusalemme, in un mondo di fedi e orientamenti diversi, non certo facile, in cui era difficile trovarsi in tanti  intorno allo stesso tavolo a parlare in modo pacato per analizzare i fatti e alla fine riuscire a trovare punti di contatto e spunti per una visione comune”.

Giornalista audiovisivo, l’immagine era per lui fondamentale. Laureato in Storia delle Religioni a Roma, con una tesi sull’Islam, frutto di una ricerca sul concetto di martirio, Simone Camilli era chiaramente appassionato di questo tipo di studi ancora prima di seguire la via del giornalismo in seguito a uno stage alla redazione della RAI del Cairo. Fu poi chiamato a collaborare con la redazione dell’agenzia AP (Associated Press) di Roma durante la malattia di Papa Giovanni Paolo II.

Fu allora che espresse il desiderio di fare uno stage a Gerusalemme dove frequentò il clero delle varie religioni lì presenti, spinto dal desiderio di sapere. Vi rimase come stagista per un periodo e collaborò con “Asia News” prima di essere assunto dalla Associated Press.

La sua fu un’esperienza speciale. Avendo studiato storia delle religioni, in quella società ricca di religioni trovò quello che cercava, frequentando amici di varie confessioni, ebrei e musulmani, e di varie etnie, palestinesi e israeliani, che amava invitare a casa sua tutti intorno al tavolo a parlare e discutere. Amava raccontare i fatti e le persone, la sofferenza degli uni e degli altri.

Certamente cercava punti di contatto tra le religioni, e amava raccontare e filmare specialmente i bambini, in particolare quelli di Gaza e la loro vita da segregati. Fu il primo telecronista ad arrivare in una scuola che aveva appena subito un attentato.

Nelle immagini che inviava non era tenero, dovevano raccontare la realtà come la vedeva lui. Ma non voleva schierarsi, non era un attivista per gli uni o gli altri: era un giornalista e voleva mantenere la sua indipendenza di osservazione limitandosi a osservare il comportamento degli esseri umani, immerso in una cultura che lo affascinava.

A un certo punto, all’epoca del conflitto con i russi in Armenia, Simone decise di andare a Erevan con un pulmino insieme ad altri colleghi passando per le montagne per conoscere i popoli che vi abitavano. Erano le esperienze che aveva desiderato di fare durante i suoi studi per cercare di capire e far capire certe realtà del mondo.

Fu una bomba inesplosa a Gaza ad ucciderlo. Era lì a filmare per cercare di far capire perché alcune delle bombe che erano state lanciate non esplodevano con l’impatto e che cosa fare per evitarle. A Gaza, Simone era conosciuto da molti, era considerato una persona non ostile.

Il padre di Simone, Pier Luigi Camilli, anch’egli giornalista, ricorda ancora la sua emozione durante un incontro con due palestinesi al Senato, a Roma. Accompagnavano un vescovo che conosceva e quando lui si presentò e sentirono il suo nome, capirono che era il padre di Simone e lo salutaro commossi, come una persona di famiglia.

L’empatia di Simone per questo popolo era evidente: chiaramente lui faceva il giornalista, cercando di andare alla radice dei comportamenti umani, con una profonda attenzione per il mondo che soffre. Una volta realizzò un reportage sul percorso a ostacoli che i palestinesi dovevano affrontare in territorio israeliano per andare a lavorare, passando attraverso innumerevoli posti di blocco con attese che a volte richiedevano tempi lunghi. Per trovarsi sul posto di lavoro alle otto del mattino dovevano avviarsi quattro ore prima, una mezza giornata di lavoro persa così.

Simone raccontava questi fatti e ci teneva a dire “io racconto i fatti”, non era il militante che vedeva solo un lato della medaglia, ma era immerso nel racconto e ne osservava tutti gli aspetti.

MLF

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