Leggi e sentenze

UNESCO: In Africa passi avanti e indietro per la libertà di stampa

Cosa dice in proposito la ricerca dell’Agenzia delle Nazioni unite nella ricerca pubblicata da Ossigeno il 9 dicembre su “L’uso scorretto del sistema giudiziario per attaccare la libertà di espressione”

OSSIGENO 14 DICEMBRE 2022 – In Africa non si fa abbastanza per tutelare la libertà di stampa e di espressione, ma sarebbe sbagliato pensare che tutti i paesi del Continente siano all’anno zero in questo campo.

La ricerca dell’UNESCO su “L’uso scorretto del sistema giudiziario per attaccare la libertà di espressione” pubblicata il 9 dicembre 2022 in Italiano da Ossigeno per l’Informazione (leggi il testo integrale ) ha fatto notare innanzitutto le pecche (anche qui si abusa della giustizia, anche qui si fanno passi avanti e indietro, la depenalizzazione della diffamazione a mezzo stampa segna il passo) ,a indica anche notevoli avanzamenti della lunga marcia per i diritti civili fondamentali e per l’adeguamento delle leggi e dei codici delle singole nazioni agli standard ottimali indicati dalle organizzazioni internazionali. In sostanza, nel continente africano si manifestano le stesse tendenze rilevate dall’UNESCO nel resto del mondo.

Del resto, ricorda la ricerca dell’UNESCO, la Carta Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli sancisce anche la libertà di espressione nel suo Articolo 9, riconoscendo il diritto di ogni individuo a ricevere informazioni nonché a esprimere e diffondere le proprie opinioni nel rispetto della legge

Un altro punto importante è che il Relatore Speciale sulla Libertà di Espressione e l’Accesso alle Informazioni in Africa ha firmato numerose dichiarazioni congiunte insieme con il Relatore Speciale delle Nazioni Unite per la Libertà di Opinione e di Espressione, il Relatore Speciale dell’OAS per la Libertà di Espressione, e il Rappresentante dell’OSCE per la Libertà dei Media per chiedere ripetutamente che le norme penali sulla diffamazione siano abolite e quelle civili invece vengano favorite. Lo hanno fatto sia con dichiarazioni rilasciate individualmente, sia con dichiarazioni congiunte. Dieci delle loro dichiarazioni congiunte contengono raccomandazioni in materia di diffamazione e di reati connessi.

Inoltre, nel 2014, la Corte Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli ha emesso una sentenza storica, Lohé Issa Konaté contro Burkina Faso (2014) che ha cassato le sanzioni penali che erano state imposte al direttore di un giornale condannato per diffamazione, oltraggio pubblico e disprezzo di funzionari, in seguito alla pubblicazione di due articoli di denuncia di corruzione nei confronti di un pubblico ministero, che aveva avviato il procedimento.

La Corte ha sostenuto che le sanzioni (un anno di reclusione, una multa e sei mesi di sospensione della pubblicazione) costituivano un’ingerenza sproporzionata nella libertà di espressione del sig. Konaté e di altri giornalisti, affermando anche che le figure pubbliche dovrebbero tollerare un livello più elevato di critiche rispetto ai privati cittadini. Ha ordinato al Paese di modificare la sua legislazione sulla diffamazione, abrogando le pene detentive e sottoponendo altre eventuali sanzioni a test che ne giustificassero la necessità e la proporzionalità, oltre ad annullare il reato dalla fedina penale del direttore e ordinare il pagamento di un compenso pecuniario allo stesso direttore.

Questa decisione ha aperto la via alla depenalizzazione della diffamazione nella regione, ed è stata seguita da sentenze e sviluppi importanti a livello nazionale, a partire dalla dichiarazione di incostituzionalità della diffamazione penale da parte dei tribunali dello Zimbabwe (2016) e del Kenya (2017).

Nel 2018, anche la Corte di Giustizia comunitaria della Comunità Economica degli Stati dell’Africa occidentale (Corte ECOWAS) ha emesso una sentenza chiave nel processo tra Federazione dei Giornalisti d’Africa (FAJ) altri contro Gambia (2018). La Corte ha stabilito che il reato di diffamazione, sedizione e i falsi reati previsti dal codice penale del paese avevano violato la libertà di espressione, dato il loro effetto “agghiacciante”. Al Paese è stato quindi ordinato di abrogare o depenalizzare le sue norme su sedizione, notizie false, diffamazione criminale e diffamazione, e ai giornalisti interessati è stato concesso un risarcimento. Il risultato della sentenza emessa dalla Corte Suprema del Gambia è stata la dichiarazione di incostituzionalità della diffamazione penale.

La ricerca dell’UNESCO cita poi un’altra storica sentenza della Corte Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popol: Lohé Issa Konaté contro Burkina Faso.

In seguito a questa sentenza del 2014, l’Africa è passata, in sei anni, da 1 a 8 paesi che hanno completamente depenalizzato la diffamazione, con altri 4 paesi che hanno attuato riforme parziali. Tuttavia in 39 dei 47 paesi africani la diffamazione è ancora un reato penale. Nella regione africana c’è ancora la tendenza verso la depenalizzazione delle leggi sulla diffamazione.

Ci sono anche state alcune ricadute, ad esempio attraverso il mantenimento l’inasprimento, la reintroduzione o la nuova adozione di reati di diffamazione e ingiuria in diversi paesi.

Inoltre i giornalisti continuano a essere perseguiti in base alle leggi che regolano la criminalità informatica, l’antiterrorismo, l’incitamento all’odio, la punizione delle fake news, la sicurezza nazionale o la protezione dei dati, con un aumento delle condanne per materiale pubblicato sui social media, anche in alcuni paesi dove il reato di diffamazione è stato abrogato. ASP

(leggi il testo integrale della ricerca UNESCO )

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