Mi hanno isolato, aveva detto Bolzoni all’Antimafia

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Il 2 febbraio 2016, un anno dopo la pubblicazione dello scoop con il quale aveva rivelato che l’industriale Antonello Montante era sotto inchiesta giudiziaria per mafia, il giornalista Attilio Bolzoni è stato ascoltato in audizione dalla Commissione parlamentare antimafia presieduta dall’on. Rosy Bindi e ha detto in modo chiaro che cosa stava passando da quando aveva pubblicato quell’articolo, da quando, nove mesi dopo, il 30 ottobre 2015, ne aveva sviluppato il contenuto tracciando la mappa del “sistema Montante” in un altro articolo dal titolo “Tangenti, quel filo che lega i padroni della Sicilia e i poteri di Roma – Gli affari nell’isola e i summit del mercoledì all’hotel Bernini. Ecco i protagonisti del sistema messo in crisi dalle indagini” (leggi).

“Mi sono trovato abbastanza isolato”, ha detto, e ha parlato del silenzio degli altri giornali.

Leggi di seguito alcuni significativi stralci e a questo link l’intero testo stenografico dell’audizione del 2 febbraio 2016 

ATTILIO BOLZONI: “Mi sono trovato abbastanza isolato, perché intorno a tutte queste vicende, se si esclude l’intervento di questa Commissione parlamentare nel marzo scorso, quando la presidente ha annunciato che la Commissione parlamentare antimafia avrebbe aperto un’indagine sull’antimafia (civile, Ndr)– sembra paradossale, ma ci ritroviamo tutti qui un anno dopo – l’informazione sia locale, anzi soprattutto locale, sia nazionale (non ha scritto nulla, ndr). L’informazione nazionale è stata molto distratta per lungo tempo. L’informazione locale non posso definirla distratta perché ci sono anche delle indagini in corso su commistioni tra quel gruppo cui facevo riferimento e rappresentanti della stampa che hanno ricevuto contributi sostanziosi. Sono documenti ufficiali, quindi non svelo nulla di segreto. Il dato più evidente è quel che hanno scritto nel corso di quest’anno: nulla. È molto interessante leggere alcuni giornali locali in Sicilia. Chi è allenato a leggere quei giornali sa che alcune volte sono pieni di notizie, ma non sono le notizie che ci sono, sono le notizie che non ci sono le più importanti. Se uno è allenato a decifrare un determinato linguaggio, riesce a capire che tipo di informazione si fa. (…)

“Io ho scritto il primo articolo su Confindustria Sicilia e su Montante il 9 febbraio 2015. Uno dei primi attestati di stima e solidarietà (a Montante, ndr) è venuto dal FAI, dalla Federazione antiracket. Un altro è venuto dal sindaco di Catania, con varie sfumature, un altro dalla Legacoop e altri a seguire. Mi ricordo questi tre. (…)

….nel corso del 2015, a un certo punto della vicenda, l’imprenditore Marco Venturi e Alfonso Cicero, il direttore dell’IRSAP, mi hanno cercato. Eravamo a fine luglio o ad agosto. Erano terrorizzati e mi hanno cercato. Mi hanno voluto incontrare in luoghi segreti perché avevano paura di incontrarmi al giornale o a casa. Non li ho incontrati a casa loro in Sicilia, ma mi hanno portato con la macchina in altri posti.

Erano davvero terrorizzati e hanno cominciato a raccontarmi una serie di cose su questo sistema siciliano di Confindustria. Una delle prime cose che mi hanno detto era proprio questa: «Hanno utilizzato, soprattutto per quanto riguarda il lavoro oscuro quotidiano di Cicero, il nostro lavoro e la nostra esposizione per mettersi in mostra».

Per esempio, non so se posso fornire questa notizia…

PRESIDENTE BINDI. Vuole segretare ?

ATTILIO BOLZONI. Non lo so, onestamente. L’altro giorno hanno fatto un blitz in una delle tante case di Montante e hanno sequestrato non so che cosa. Il suo avvocato ha annunciato che ha un memoriale. Il memoriale di Montante ce l’ho da diversi mesi perché me lo sono procurato.

In quel memoriale di 420 pagine, 380 pagine erano su Cicero. Utilizzava tutte le attività di Cicero pubblicamente e all’interno del gruppo, nello stesso tempo, lo isolava. Tutta l’attività legalitaria che faceva Cicero all’IRSAP pubblicamente veniva da lui utilizzata, ma dentro il gruppo Cicero veniva isolato. Questo mi hanno raccontato i due imprenditori. Credo che l’abbiano raccontato poi ai pubblici ministeri. (…)

La prima sensazione, che per me non era nuova – lo ricordava il senatore Lumia – è l’isolamento. Mi era già capitato in altre occasioni negli ultimi vent’anni di occuparmi di casi spinosi di mafia, più che di antimafia, ma anche sul fronte antimafioso. Mi sono ritrovato non per un anno, ma… (…)

A me interessava porre la questione. Aver posto questa questione mi ha creato diversi problemi, a parte l’isolamento.

Alcune cose credo di poterle dire. Sono stato pedinato per settimane. Se mi pedina un poliziotto o un carabiniere, sono sicuro di non accorgermene. Sono troppo bravi. Se mi pedina qualcun altro, me ne accorgo. Eccome se me ne accorgo. I miei familiari hanno subìto aggressioni, non so di che tipo. Ho avuto problemi con i telefoni, tant’è che sono state presentate delle denunce.

Mi sono successe un po’ di cose nella primavera scorsa. Sono stato avvicinato da personaggi insieme a un altro collega, con cui ho lavorato inizialmente su questa vicenda. Quando c’è un’aria un po’ pesante…

PRESIDENTE BINDI. Posso farle un’altra domanda ? Qualcuno ha cercato di intralciare il lavoro d’inchiesta ?

ATTILIO BOLZONI. Qualcuno ci ha provato. Qualcuno ci ha provato, ma, per fortuna, lavoro in un giornale il cui direttore è stato impeccabile. Non avevo dubbi. Qualcuno ha provato a fare pressioni molto forti. Probabilmente era abituato così con altri giornalisti. Il fatto che facciano pressioni mi ha ringalluzzito un poco. Mi sono messo a lavorare più del solito. Sì, è accaduto anche questo, e in maniera anche abbastanza violenta.

Nella relazione introduttiva, Bolzoni aveva detto:

“Per più di trent’anni mi sono occupato di mafia, soprattutto di mafia siciliana, ma a un certo punto ho capito che era l’ora di occuparmi anche di antimafia. È stato circa dieci anni fa, esattamente nel 2005, quando una mattina mi sono svegliato a Palermo e ho visto tutti i muri della città tappezzati da manifesti con una grande scritta nera e la faccia del governatore Totò Cuffaro. La scritta diceva: «La mafia fa schifo». In quel momento Cuffaro era sotto inchiesta per concorso esterno mafioso, ipotesi di reato che è poi stata trasformata in favoreggiamento alla mafia. Come sappiamo, l’ex senatore è stato poi condannato, ha scontato la sua pena e qualche settimana fa è tornato un uomo libero.

In quegli stessi anni, fra il 2005 e il 2007, ho assistito come cronista a processi contro mafiosi di Palermo che in aula gridavano «La mafia fa schifo» mentre venivano condannati a sette, otto, nove o dieci anni per associazione mafiosa.

Ho così capito che quello slogan, «La mafia fa schifo», era una battuta che piaceva tanto anche ai mafiosi. Erano finiti i tempi in cui quella parola, «mafia», a Palermo e in Sicilia non si pronunciava mai. Al contrario, gli uomini d’onore di cosa nostra esibivano pubblicamente la loro antimafiosità. Provavano già allora a infiltrarsi nelle associazioni antiracket, organizzavano convegni e a volte erano i primi a sponsorizzare manifestazioni contro Cosa Nostra”.

(…) Veniamo al mondo associativo e all’antimafia sociale. Da quando esiste l’antimafia moderna, ossia da circa una trentina d’anni, subito dopo l’omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il 3 settembre 1982, l’antimafia non è mai stata così ubbidiente, cerimoniosa e attratta dal potere. Sopravvive fra liturgie e litanie e soprattutto grazie a un fiume di denaro. Tutto ciò che conquista lo status di antimafia certificata si trasforma in milioni o in decine di milioni di euro, in finanziamenti considerevoli a federazioni antiracket, in contributi per vivere la neve – tra le varie cose che ho trovato c’è anche una sciata antimafia a Folgaria, mi pare; non mi ricordo a quante decine di migliaia di euro ammonti il contributo – in uno spargimento di risorse economiche senza precedenti e nel più assoluto arbitrio.

Si tratta di un’antimafia sottomessa alle concessioni dei PON, i Programmi Operativi Nazionali di sicurezza del Ministero dell’interno. Questi PON, secondo me, necessitano di una verifica, di un monitoraggio sui soldi che vengono spesi e su quelli che non vengono spesi e tornano in Europa. Si tratta di cifre considerevoli, che non sempre prendono, secondo me, strade virtuose.

Si tratta di un’antimafia sottomessa alla benevolenza di funzionari del Ministero dell’istruzione, che, senza bando pubblico, per anni hanno distribuito milioni e forse anche decine di milioni a scuole e che poi smistavano quelle somme ad associazioni sul territorio sulla base di legami e patti.

La conservazione o l’estinzione di un’associazione antimafia, di un circolo intitolato a un poliziotto ucciso o a un bambino vittima del crimine, di uno sportello in chiusura o un osservatorio sui casalesi o i corleonesi, di un museo della ’ndrangheta è sempre appeso a un filo o a un canale economico. Così l’antimafia è diventata docile e addomesticata. Il patto non scritto è sempre: non disturbare mai il potente del momento e prendere i soldi.

Si tratta di un’antimafia ferma, in posa perenne, conformista, sempre pronta con la retorica a ricordare e a santificare i suoi eroi, ma soprattutto a non restare con le tasche vuote.

Si tratta di un’antimafia che è diventata consociativa. Non ci sono più zone franche nell’antimafia. Nelle piccole associazioni sparse in ogni angolo d’Italia e anche nelle associazioni più grandi e più rispettabili negli ultimi anni c’è stata una mutazione del dna. Alla denuncia si è preferito l’assalto agli incarichi e alle consulenze. L’associazione antimafia a volte è diventata un trampolino di lancio per carriere politiche.

Anche qui bisogna distinguere per non confondere, bisogna procedere passo dopo passo senza generalizzare, ma credo sia abbastanza evidente, almeno a mio parere, che l’antimafia abbia perduto il suo spirito originario. Molte associazioni non rappresentano più un’altra voce. È proprio in questo momento che qui in Italia si sente il bisogno di un’altra voce più che mai. C’è un’incapacità di intercettare o interpretare le trasformazioni criminali che sono in atto nel nostro Paese da parte delle associazioni antimafia. (…)

ASP

Leggi l’intero testo stenografico dell’audizione del 2 febbraio 2016 

 

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