Libertà di stampa

Rapporto sulla Grecia. Minacce, querele, un giornalista ucciso ma se ne parla poco

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Neppure l’assassinio di Giorgos Karaivaz, ucciso ad Atene il 9 aprile 2021, né le minacce al noto cronista Kostas Vaxevanis, hanno svegliato l’attenzione 

Questo reportage è stato realizzato per Ossigeno per l’Informazione come contributo alla discussione in occasione della tavola rotonda sul tema “Giustizia e libertà di stampa: come fermare l’impunità per i reati contro i giornalisti”, organizzato da Ossigeno e UNESCO, a Siracusa, il 3 novembre 2021 per clebrare la “Giornata Internazionale per mettere fine all’impunità per i reati contro i giornalisti” (IDEI) – L’autrice è una giornalista greca, vive ad Atene e collabora con la Repubblica ed Euronews

OSSIGENO – Atene, 27 ottobre 2021 – by Elena Kaniadakis – In Grecia le autorità, l’opinione pubblica e i media non prestano molta attenzione alle numerose minacce e alle intimidazioni rivolte ai giornalisti che finiscono nei guai per aver rivelano verità scomode. Eppure, le querele pretestuose ed intimidatorie fioccano. Eppure nell’ultimo anno ci sono stati vari casi di censura nella tv di stato. Eppure, lo scorso aprile, un giornalista investigativo noto in tutto il paese per le sue inchieste è stato assassinato ad Atene e poco dopo un altro suo collega altrettanto noto è stato dichiarato in pericolo di vita per il suo lavoro.

Il governo, inoltre, ha annunciato una modifica del Codice penale che prevede carcere e multe per chi pubblica notizie che possono causare preoccupazione o paura tra i cittadini o indebolire la fiducia nelle autorità.

Tutto ciò non ha svegliato la Grecia dal tradizionale torpore con cui segue queste vicende. Nel paese non sono state organizzate manifestazioni di protesta importanti in risposta all’uccisione di un giornalista, al contrario di quanto è avvenuto in Slovacchia o a Malta dopo l’omicidio di Ján Kuciak e di Daphne Caruana Galizia.

«Né il governo greco ha dato segnali o adottato misure concrete per ribadire il proprio impegno per la libertà di stampa» commenta Pavol Szalai, responsabile dei Balcani per Reporters Sans Frontiers.

Il 9 aprile 2021, il giornalista d’inchiesta Giorgos Karaivaz è stato ucciso in un sobborgo di Atene a colpi d’arma da fuoco da due sicari non identificati, fuggiti a bordo di una moto senza lasciare tracce.

Poche settimane dopo, il giornalista Kostas Vaxevanis, editore e giornalista di Documento – il principale settimanale investigativo greco – è stato messo sotto scorta. Secondo le informazioni ottenute da una fonte, infatti, la sua vita sarebbe apparsa in grave pericolo. Ma lo stesso giornalista ha dichiarato di non fidarsi della polizia e, di conseguenza, della protezione dello Stato, in un articolo in cui si rivolge ai lettori dal titolo “Sono costretto a informarvi perché siete la mia unica protezione”.

Vaxevanis e Karaivaz si erno occupati entrambi di polizia corrotta, malapolitica e criminalità organizzata. Le loro drammatiche vicende hanno stimolato il dibattito sulla libertà di stampa nei media e hanno catturato l’attenzione degli osservatori internazionali, interessati a comprendere cosa accade alla libertà di stampa nel paese.

Ma in questi mesi la polizia greca non ha diffuso informazioni sull’andamento delle indagini avviate per trovare i colpevoli della morte di Karaivaz né sulle minacce a Vaxevanis. Anche la stampa greca si è mostrata disattenta: dopo la pubblicazione degli articoli di cronaca nell’imminenza dei fatti ha smesso di occuparsene.

L’editore di Documento considera la sua drammatica vicenda la prova di «un lento e costante processo di delegittimazione della stampa da parte dello stesso governo greco, abituato a bollare come notizie false o faziose le inchieste scomode», contribuendo così «a creare un clima di ostilità ideale per chi vuole mettere a tacere i reporter».

L’eventualità che gli assassini di Karaivaz non vengano identificati è da prendere in seria considerazione, visto un altro drammatico precedente: nel 2010 il giornalista Sokratis Golias, noto per le inchieste su corruzione e criminalità organizzata pubblicate sul suo blog, venne assassinato a colpi d’arma da fuoco nei pressi della propria casa. L’assassinio fu rivendicato da un sedicente gruppo di anarchici, ma i responsabili non sono mai stati individuati dalla polizia.

Nel suo ultimo studio sulla Grecia, Reporters Sans Frontiers ha affermato che il paese rappresenta “un cocktail pericoloso per la libertà di informazione”. Pavol Szalai spiega come nell’ultimo periodo in Grecia si siano verificate tre dinamiche molto allarmanti: «l’uccisione di un giornalista, un alto numero di arresti arbitrari di reporter sul luogo di lavoro e il tentativo da parte dello Stato di controllare la diffusione delle informazioni». Nell’annuale classifica di RSF dei paesi che meglio salvaguardano la libertà di informazione, la Grecia occupa il 70esimo posto nel mondo: tra gli stati europei solo Malta, Ungheria e Bulgaria hanno ottenuto un punteggio peggiore.

«In Grecia – spiega Szalai – il rapporto fra i giornalisti e la polizia è molto diverso da quello che ad esempio c’è in Italia, dove i reporter si fidano della propria scorta. In Grecia al contrario la polizia si è resa responsabile di numerose aggressioni ai danni dei giornalisti, e generalmente non gode della loro fiducia».

Nel periodo della pandemia diversi fotoreporter hanno denunciato di essere stati aggrediti dalla polizia: quindici solo durante le manifestazioni della primavera scorsa, quando il paese era in confinamento.  Anche alcuni professionisti della stampa estera, impegnati in questi anni a raccontare la crisi migratoria negli hotspot dell’Egeo, hanno denunciato abusi di potere e arresti arbitrari da parte degli agenti greci.

Le aggressioni fisiche non rappresentano tuttavia l’unica minaccia subita dai giornalisti. «Quello della censura sul luogo di lavoro è un problema presente anche se, per ovvi motivi, più difficile da documentare» spiega Szalai.

Alla fine del 2020, la giornalista Dimitra Kroustalli si è dimessa dal quotidiano To Vima, a causa delle «pressioni soffocanti» da parte del gabinetto del primo ministro greco dopo la pubblicazione di un articolo firmato da lei, sul monitoraggio imperfetto dei casi di contagio da Covid19. Nello stesso periodo un’altra rispettabile giornalista, Elena Akrita, ha rassegnato le dimissioni dal quotidiano Ta Nea, accusando il giornale di avere censurato un suo articolo critico nei confronti del governo, guidato dal partito conservatore di Nea Dimokratia. A distanza di pochi mesi, inoltre, alcuni giornalisti dell’emittente radiotelevisiva di stato Ert hanno accusato il governo di avere imposto di non inserire nel telegiornale alcune riprese di un evento pubblico in cui il Primo ministro greco violava le norme di distanziamento per il Covid.

Per Vaxevanis anche il sindacato dei giornalisti greci ha una sua responsabilità per ciò che sta accadendo. «Storicamente, si è sempre occupato di questioni burocratiche o economiche, della disoccupazione determinata dalla crisi finanziaria. Ma la situazione negli ultimi tempi si è aggravata e richiederebbe un diverso impegno. Oggi il problema principale è questo: come consentire ai giornalisti di lavorare senza temere per la propria vita. La macchina sindacale si muove lentamente e – aggiunge l’editore di Documento – nella maggior parte dei casi non prende posizione oppure si allinea con il governo, come per esempio è avvenuto con la lista Petsas». Vaxevanis cita un caso emblematico delle ingerenze del governo sulla stampa greca: il caso di un finanziamento governativo di 20 milioni di euro destinato a inizio pandemia ai media greci, elargito a testate ininfluenti per la tiratura e negato in maniera arbitraria ad alcuni giornali considerati antigovernativi.

Il rapporto clientelare fra potere politico e giornalismo è un problema che risale al periodo della dittatura fascista degli anni 1967-1974, quando la stampa veniva utilizzata come cassa di risonanza della giunta dei colonnelli. Negli anni della democrazia, e poi in quelli recenti della crisi finanziaria, il paese ha assistito, da un lato, a una deregolamentazione del settore che ha favorito la concentrazione dei media in pochi e potenti gruppi editoriali, dall’altro a un impoverimento generale che lo ha reso più vulnerabile alle ingerenze esterne.

La connivenza tra politica e giornalismo clientelare si riflette nella percezione pubblica. Secondo il rapporto di quest’anno del Reuters Institute dell’Università di Oxford, solo il 30% dei cittadini ritiene che le notizie diffuse siano in generale attendibili. Un altro rapporto del 2017, inoltre, segnala come la Grecia sia uno dei pochi paesi europei in cui la gente si fida dei social media molto più che dei media tradizionali.  Quando, nel marzo 2021, molte televisioni greche hanno documentato in modo parziale o falso gli scontri con la polizia avvenuti nel paese, per giorni l’hashtag più diffuso su Twitter è stato “Boycott Greek media”, a testimonianza del discredito nutrito nei confronti della stampa greca.

Per Nikolara Maki, segretaria del Consiglio di amministrazione dell’Esiea, il principale sindacato dei giornalisti greci, «il problema della libertà di stampa si è aggravato con la crisi economica: molti professionisti hanno a cuore prima di tutto il proprio posto di lavoro. Non si può parlare di libertà di stampa quando c’è il precariato» spiega. La stessa Maki, dipendente dell’Ert, nell’aprile del 2021ha denunciato sul suo profilo Facebook casi di censura di alcuni suoi servizi televisivi che non sono mai andati in onda, con oggetto gli episodi di violenza della polizia.

Per la giornalista «il sindacato potrebbe certamente fare di più, ma è presente, per esempio, con l’organizzazione di eventi per sensibilizzare sul tema, o attraverso l’offerta di sostegno legale nel caso di querele per diffamazione a mezzo stampa». Come spiega tuttavia Apostolos Tsalapatis, avvocato dell’Esiea, i casi di giornalisti difesi dagli avvocati del sindacato sono molto pochi: «forniamo assistenza legale a quei casi dove appare palese, fin dall’inizio, che il giornalista abbia esercitato correttamente il proprio lavoro. Molti di questi si risolvono con l’assoluzione del giornalista».

Nella legge greca non esiste una disposizione specifica per proteggere i giornalisti dalle cosiddette SLAPP (acronimo inglese di Strategic lawsuit against public participation, ovvero l’utilizzo sistematico di querele per intimidire e fermare il lavoro del giornalista) né iniziative parlamentari mirate a proteggere la categoria da questa pratica.

«L’uso intimidatorio delle querele è un fenomeno ben presente in Grecia – spiega Vaxevanis – nella redazione di Documento, per esempio, ci stiamo occupando di 80 querele, per ognuna delle quali dobbiamo spendere 3mila euro. Si tratta di una strategia che isola il giornalista, poiché l’annuncio della querela viene spacciato come certificazione di per sé della falsità della notizia che si vuole contestare. Così, inoltre, si induce il reporter ad autocensurarsi, per evitare di affrontare spese insostenibili. Per questo – spiega il giornalista – sosteniamo la necessità di un regolamento in ambito europeo che protegga i giornalisti da queste azioni, soprattutto quando sono intraprese da chi, al contrario dei reporter, è protetto da immunità politica».

A suscitare preoccupazione in queste settimane, inoltre, è una proposta del Ministero della Giustizia di modifica dell’articolo 191 del Codice penale greco, relativo alla diffusione di notizie false.

L’articolo emendato punirebbe, tra le altre cose, con una pena detentiva di almeno sei mesi e una multa “chiunque diffonda pubblicamente, attraverso la stampa o via Internet, notizie false che possono causare preoccupazione o paura tra i cittadini o scuotere la fiducia del pubblico nell’economia nazionale, nella capacità di difesa del paese o nella salute pubblica”. La stessa pena verrebbe inflitta al proprietario o all’editore dei media con i quali sono stati commessi gli atti.

In un comunicato, il sindacato Esiea ha messo in evidenza che «a causa di una formulazione vaga, non si specifica in cosa consista una notizia e come questa differisca dall’espressione della propria opinione, formulata secondo il proprio giudizio personale, su una specifica questione. I giornalisti rischiano così di essere ritenuti responsabili di causare preoccupazione o paura tra i cittadini, nel momento in cui esprimono un’opinione o una critica, azione che è parte integrante della nostra missione».

In altre parole, il sindacato teme che la magistratura, grazie a questa modifica del Codice penale, possa intervenire per limitare la libertà di parola, costituzionalmente garantita. Contro la proposta del Ministero della Giustizia si sono espressi sia i parlamentari del principale partito di opposizione, Syriza, sia rappresentanti degli osservatori International Press Institute, CPJ, Index of Censorship, preoccupati dalla forte limitazione alla libertà di stampa che ne conseguirebbe.

Come messo in evidenza da Giorgos Pleios, presidente della facoltà di Scienze della comunicazione dell’Università di Atene, «il primo governo che ha criminalizzato le “notizie false”, termine vago e imprecisato, con il pretesto delle teorie del complotto, è stato il governo di Orban in Ungheria, la pecora nera d’Europa».

A destare preoccupazione in Grecia è quindi, soprattutto, la mancanza di un’autorità politica seriamente interessata a salvaguardare il ruolo e la dignità dei giornalisti anche quando questi mettono in discussione o in difficoltà il loro operato politico.

ASP

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