Realizzato nell'ambito del progetto OSSIGENO M.A.P. - MONITOR ASSIST AND PROTECT, co-finanziato da GMDF (Global Media Defense Fund), il Fondo creato nell'ambito della Campagna Globale per la Libertà dei Media nel quadro del Piano d'Azione dell'ONU per la Sicurezza dei Giornalisti e la tematica dell'Impunità. Il GMDF è stato sviluppato con l'obiettivo di facilitare la libertà dei media e migliorare l'accesso dei giornalisti ad una tutela legale specializzata e sensibile alla diversità di genere. Gli autori sono responsabili della scelta e della presentazione dei fatti contenuti in questa pubblicazione e delle opinioni ivi espresse, che non sono necessariamente quelle dell'UNESCO e non impegnano l'UNESCO.

Pensieri e parole di un giornalista freelance al quale viene notificata una querela

Questo articolo è disponibile anche in: Inglese

Ogni anno migliaia di cronisti precari si trovano nella necessità di nominare un avvocato e non hanno al loro fianco il giornale che pubblica i loro articoli – Come si regolano – Cosa passa nella loro mente

OSSIGENO 24 marzo 2022 – Una delle situazioni più imbarazzanti in cui può trovarsi un giornalista è quella che si verifica quando lo chiamano in commissariato e gli notificano una querela per diffamazione a mezzo stampa per un articolo pubblicato sul giornale con cui collabora. In commissariato prendono le sue generalità e lo invitano a nominare subito un difensore.

E’ un’esperienza angosciosa soprattutto per chi la vive la prima volta, come accade a un gran numero di giornalisti. Ogni anno in Italia vengono notificate circa novemila querele per diffamazione a mezzo stampa.

Chi c’è passato sa come comportarsi, conosce i problemi che dovrà affrontare: fastidi, angosce, spese, il rischio di essere condannato a una multa o a una pena detentiva (fino a sei anni, dice la legge), a versare un risarcimento, di essere dipinto come un mascalzone per il solo fatto che qualcuno ritiene che egli ha infranto la legge danneggiando la sua reputazione, fissando il limite della legalità in base a considerazioni che in nove casi su dieci non coincidono con quelli previsti dalla legge.

I giornalisti querelati non sono tutti uguali. Alcuni hanno saputo dal loro giornale che dal commissariato li hanno cercati e per quale ragione. Altri giornalisti invece vengono convocati personalmente dal commissariato. Questo non fa molta differenza, se sei un giornalista freelance, cioè un collaboratore esterno e non un giornalista dipendente con contratto a tempo indeterminato: questi ultimi ricevono più assistenza dai loro giornali.

Ma tu sei un freelance, sei considerato un giornalista di seconda categoria rispetto ai tuoi colleghi dipendenti dal giornale: anche se personalmente sei stimato e porti notizie delicate apprezzate dalla redazione, che danno soddisfazione al giornale. E in questi casi, tranne rare eccezioni, devi sbrigartela da solo, anche se insieme a te, per lo stesso articolo, sono stati querelati anche il direttore responsabile e l’editore.

Perché, bisogna saperlo, in Italia, anche se la legge preve la responsabilità in solido (cioè non scindibile) di autore, direttore ed editore, chi presenta una querela può decidere di denunciare soltanto l’autore, senza chiamare in causa esplicitamente il direttore responsabile e l’editore del giornale che hanno pubblicato l’articolo contestato. E soltanto chi è querelato è passibile di condanna. I querelanti più furbi utilizzano questa facoltà selettiva per isolare l’autore dell’articolo dal suo giornale e così indebolirlo sul piano processuale.

Poi, nel corso dell’istruttoria, il pubblico ministero, se vuole, se se ne ricorda, può chiamare in causa anche gli altri soggetti corresponsabili, in questi casi il direttore responsabile e l’editore. Dovrebbe accadere sempre. Ma non sempre accade e ciò apre la possibilità di usare le querele come armi di cecchinaggio puntate sull’anello più debole della catena editoriale, l’autore dell’articolo, e consente comportamenti opportunistici delle aziende editoriali. Ciò è consentito da una grave lacuna del nostro ordinamento.

Dunque ti hanno convocato, ti hanno fatto capire più o meno chiaramente per quale articolo sei stato querelato, ma non sai bene chi ti ha querelato. Non ti fanno vedere la querela. Ma ti chiedono di nominare un difensore, su due piedi o nel giro di qualche giorno. Se non farai nulla, ti sarà assegnato un avvocato d’ufficio. Se non sei proprio povero in canna dovrai pagarlo. Tanto vale sceglierne uno competente della materia, di tua fiducia. Chissà quanto costa!

Come fare? Provi a chiedere aiuto al redattore con il quale tieni i rapporti di collaborazione, sperando che ti metta in contatto con l’ufficio legale del giornale. Raramente trovi aiuto e comprensione. Quello ti colpevolizza, impreca. “Ci mancava solo questo. Dovevi stare più attento. Arrangiati”, dice di solito quel redattore. Reagisce così per ignoranza, perché non sa cosa fare, o perché teme di essere colpevolizzato anche lui, o lo è già stato.

In Italia tutti tendono a trattare i querelati come appestati e loro, in gran parte, si comportano come tali. Molti ignorano (o fingono di ignorare) come abbiamo detto, che in questo paese nove querele su dieci all’esame del giudice si rivelano pretestuose, infondate, intimidatorie. Lo dicono le statistiche sull’esito dei processi. Se tutti lo sapessero, i giornalisti querelati sarebbero trattati più umanamente e con più solidarietà: come persone ingiustamente perseguitate, accusate ma innocenti fino alla prova contraria convalida da un processo. Invece spesso il querelato viene subito messo all’indice, isolato, esposto alla gogna come se la querela fosse una sentenza di condanna, e non mentre è soltanto l’accusa di un privato cittadino a un giudice che, in osservanza dell’obbligo di esercitare l’azione penale per ogni notizia di reato che riceve, deve sottoporla alla prova di un processo per stabilire se è vera o falsa. Ci vorrebbe un filtro di ammissibilità. Manon c’è. E così questa rigida normativa consente di abusare ampiamente delle querele, di usarle a scopo intimidatorio, punitivo, di ritorsione.

In altri paesi questi abusi vengono sanzionati severamente e perciò sono rari, inoltre la facoltà di querelare è molto più ristretta e circostanziata, le querele prima di dare vita a un processo devono superare un esame preliminare. In Italia si discute da decenni di adottare procedure idonee a  fermare questi abusi. Invece con l’entratta in vigore del nuovo codice penale le cose sono peggiorate. Che fare? Se ne discute in Parlamento ma le regole non cambiano. Quelle attuali fanno comodo a tutti coloro che vogliono impedire la pubblicazione di notizie sgradite e possono ottenere questo scopo anche con querele infondate.

Dunque tu, cronista freelance, che ti trovi in commissariato e non sai che cosa fare, sei finito in questo tritacarne. Fra l’altro, ti rendi conto che adesso rischi di essere bersaglio di polemiche e attacchi da parte dei tuoi stessi colleghi (quelli che non ti hanno in simpatia) che potrebbero diffondere la notizia della tua querela in tono negativo, per far intendere che non sei tanto affidabile. Questo ti danneggerebbe. Questi pensieri ti inducono a non far sapere a nessuno che qualcuno ti ha querelato, a vergognarti di qualcosa di cui non hai colpa.

In questo stato d’animo devi prendere la tua decisione. Da chi ti farai assistere?

Intanto il giornale ha nominato un avvocato di fiducia per il direttore responsabile. Con poco sforzo l’editore potrebbe affidargli anche la tua difesa. L’ufficio legale e il direttore sanno bene che anche tu devi nominare un difensore. Ma non ti dicono nulla.

Non è giusto e lo sai bene: anche tu avresti diritto di avere un avvocato pagato dal giornale. Lo sai, ma non dici nulla. Non chiami il giornale per rivendicarlo. Non ci provi nemmeno! Il tuo collega ti ha già colpevolizzato per quella querela di cui sai di non avere nessuna colpa. Tu hai scritto la verità, correttamente, hai fatto le dovute verifiche, in redazione i tuoi capi hanno letto e riletto prima di pubblicare. Perché non dovrebbero difendere anche te?

Pazienza, dici. In cuor tuo sei convinto che il giudice ti darà ragione. Ma fino a un certo punto. Non si sa mai come vanno a finire queste cose! Né quanto durano questi processi. Comunque tu decidi di non parlarne a tua moglie e ai tuoi familiari. Hanno già tanto da ridire sui tuoi magri guadagni. Un collega ti ha confidato che la moglie lo ha lasciato quando lui è stato querelato dal sindaco. E non è tornata neppure quando lui è stato assolto, sei anni dopo!

Non pensarci. Adesso tu devi nominare l’avvocato. E allora che fai? Ti arrangi fra le tue conoscenze. Per fortuna, come accade a molti giornalisti, facendo il tuo lavoro, sei entrato in contatto con alcuni avvocati e con un paio di loro hai stabilito rapporti amichevoli, di collaborazione, per avere notizie o per verificarle.

Dunque alla fine ti rivolgi a uno di loro, lo informi e lo nomini difensore di fiducia. Forse non si farà pagare, o si farà pagare poco. Questo si vedrà. Comunque in qualche modo dovrai sdebitarti con lui.

Per quell’articolo ti hanno pagato pochi euro e probabilmente adesso ci hai già rimesso il guadagno di un anno. Come fa un cronista a lavorare serenamente e a scansare queste trappole?

Questo articolo è ispirato ad alcune storie vere e attuali della quali Ossigeno per l’Informazione è stato informato in dettaglio nelle scorse settimane. L’Osservatorio ha deciso di farle conoscere unificandole, omettendo il nome dei giornalisti, per evitare che subiscano ritorsioni. viene pubblicato nell’ambito del Progetto MAP – Monitoraggio Assistenza Protezione dei giornalisti che Ossigeno sta realizzando in collaborazione con UNESCO con il sostegno del GMDF Global Media Defence Fund

In questi anni l’Osservatorio è venuto a conoscenza di altre storie simili e della loro evoluzione, spesso sfociata in un’archiviazione o una assoluzione. Ma quasi sempre senza che fosse riconosciuto il risarcimento delle spese legali sostenute. In questi anni oltre sessanta giornalisti sono stati sostenuti  dall’Ufficio di Assistenza Legale Gratuita di Ossigeno. Molti altri hanno usufruito dei consigli e dei pareri di questo servizio che per soddisfare tutte le richieste vorrebbe avere più risorse.

Conoscere le difficoltà concrete con cui si confrontano in Italia migliaia di giornalisti è la premessa per superarle, per sollecitare una legislazione più moderna e adeguata e per motivare la creazione di nuovi strumenti di solidarietà per proteggere, insieme, il diritto dei cronisti di continuare a esercitare la loro professione e di proteggere il loro patrimonio, e il diritto dei cittadini di ricevere dai media tutte le informazioni attuali di interesse pubblico.

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