Caso Origone, giornalismo e diritto di essere parte civile se è violata la libertà di stampa

Il parere dell’avv. Andrea di Pietro, coordinatore dell’Ufficio di Assistenza Legale Gratuita di Ossigeno sulla decisione del GUP di escludere le associazioni

OSSIGENO – 10 febbraio 2021 – L’aggressione a Stefano Origone resta probabilmente uno dei fatti più gravi accaduti in Italia a danno di un giornalista durante lo svolgimento del suo lavoro.

Come è noto, il 23 maggio 2019 il cronista fu aggredito a Genova, in Piazza Corvetto, mentre seguiva per conto del suo giornale, il quotidiano “La Repubblica”, lo svolgimento di una manifestazione di protesta contro un comizio di Casapound. 

Nell’occasione si trattava di sedare gli scontri con le Forze dell’Ordine che vedevano protagonisti esponenti dei gruppi antagonisti e antifascisti giunti sul posto con il proposito di protestare contro il fatto che l’autorità amministrativa aveva rilasciato l’autorizzazione affinché il movimento politico di estrema destra Casapound potesse tenere un comizio. Stefano Origone era lì proprio per documentare quei fatti per il quotidiano “La Repubblica”.

Ebbene, quella fu l’occasione, invece, in cui il cronista subì un’aggressione fisica di insolita violenza da parte delle forze dell’ordine.

Stefano Origone urlò “a squarciagola” di essere un giornalista e sicuramente nulla aveva fatto per provocare la dura reazione degli agenti. Questo, infatti, racconta il dirigente di Pubblica Sicurezza Dr. Bove che lo salvò letteralmente dal pestaggio.

Non è verosimile, quindi, che si sia verificata la situazione prospettata dagli agenti, secondo i quali Stefano Origone fu scambiato per un manifestante aggressivo. Sembra invece il contrario, ovvero che pur avendo sentito Stefano Origone qualificarsi come giornalista, gli agenti abbiano colpevolmente ignorato tale circostanza.

È opportuno chiarire, nonostante la Procura abbia contestato il reato volontario, che nessuno di noi ha mai pensato, sicuramente nemmeno il pubblico ministero che ha contestato il dolo, che gli agenti abbiano picchiato il giornalista nella piena consapevolezza della sua qualità di cronista, piuttosto, invece, con l’atteggiamento psicologico meno grave del dolo eventuale, ovvero di chi abbia sferrato i colpi accettando “con indifferenza” il rischio che il soggetto aggredito fosse un giornalista. Ciò diminuisce ma non elimina la responsabilità penale degli agenti imputati nel processo.

Ossigeno per l’Informazione ha sentito il dovere di sostenere il giornalista attraverso un supporto economico alle spese legali necessarie per far valere i propri diritti nel giudizio civile contro il Ministero dell’Interno. (Leggi i dettagli). Ha inoltre deciso di costituirsi parte civile, come associazione portatrice di interessi propri, nel processo penale accanto alla persona fisica vittima del reato.

Dispiace, quindi, che il GUP, alla prima udienza di ottobre 2020, abbia respinto la costituzione di tutte le parti civili associative presentatesi in Aula per difendere il diritto alla libertà di informazione e la sicurezza dei giornalisti. A nostro avviso, invece, l’indifferenza con cui gli agenti quel giorno hanno accettato il rischio che Origone fosse effettivamente un giornalista assume un valore particolarmente grave perché tale condotta si inscrive nell’ambito di una condotta propria di pubblici ufficiali autorizzati all’utilizzo della forza in quanto richiesta per ragioni di ordine pubblico. 

Ormai è tardi per piangere sul latte versato. Anche perché l’ordinanza con cui il giudice respinge la costituzione di parte civile è uno dei rarissimi provvedimenti del processo penale non soggetto a impugnazione. Resta l’auspicio che Stefano Origone, anche se rimasto privo del supporto del mondo dell’Informazione, possa comunque ottenere piena giustizia e con il tempo, magari, dimenticare questa sventura umana e professionale.

Andrea Di Pietro

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