Editoriale

Cassazione frena cause infondate e punisce promotori

In questo articolo, l’Avvocato Andrea Di Pietro commenta una ordinanza innovativa con la quale la Corte Suprema di Cassazione adotta in materia di liti temerarie il concetto di “danno punitivo” e dell’abuso del processo recentemente mutuati dall’esperienza e dalla tradizione giuridica statunitense

di Andrea Di Pietro – Quando si discute di liti temerarie i giuristi osservano spesso che il nostro ordinamento già dispone di strumenti giuridici idonei a contrastare il fenomeno, sebbene vengano applicati di rado.

Infatti, sia in sede civile, con l’articolo 96 del codice di procedura, sia in sede penale, con gli articoli 427 e 542 del relativo codice di procedura, è possibile contrastare il fenomeno dell’abuso del diritto di agire in giudizio. L’abuso del processo, soprattutto in tema di diffamazione a mezzo stampa, produce severe limitazioni della libertà di informazione, diventando un ostacolo allo svolgimento della professione giornalistica. Ma qualcosa di nuovo inizia ad affacciarsi.

La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione l’11 ottobre del 2018, con l’Ordinanza n. 25177, ha compiuto un passo in avanti verso l’applicazione definitiva del cosiddetto “danno punitivo”. Un principio innovativo, che progressivamente si sta affermando nella giurisprudenza, dopo un lunghissimo periodo di diffidenza e incertezza. I principi fondanti del concetto di danno punitivo sono stati mutuati dall’esperienza e dalla tradizione giuridica statunitense.

In sostanza, ciò che appare rilevante è la “funzione” del risarcimento del danno, il quale, oltre alla sua natura riparatoria, può avere anche una accezione sanzionatoria. Ciò significa che, a differenza del danno tradizionale, che deve essere sempre provato, il “danno punitivo” è svincolato dall’onere di provare il danno sofferto. Il giudice, in questo caso, decide in via equitativa e può farlo anche d’ufficio, come è avvenuto nel caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte.

Ciò che cambia, quindi, è che grazie alla recente ammissibilità del danno punitivo nel nostro ordinamento, i giudici potranno applicare più agevolmente l’articolo 96 c.p.p. e quindi porre un freno alle liti temerarie e al fenomeno dell’”abuso del processo”, ovverosia il ricorso infondato  alla facoltà, pur garantita dall’articolo 24 della Costituzione, di agire in giudizio chiedendo danni patrimoniali e non patrimoniali.

I giudici iniziano a mettere sul piatto della bilancia della giustizia due principi costituzionali: il diritto alla difesa, protetto dall’articolo 24, e il diritto al giusto processo, tutelato dall’articolo 111  (“La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge… La legge ne assicura la ragionevole durata”). Ecco il nocciolo della questione: l’abuso del diritto di agire in giudizio intasa l’amministrazione della giustizia al punto da non rendere più vivente, praticabile, applicabile il principio del giusto processo, che è tale se ha una “ragionevole durata”.

Avv. Andrea Di Pietro

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