Leggi e sentenze

Diffamazione. Mentre il paziente muore il Parlamento esita sulla cura

Il parere dell’avv. Andrea Di Pietro, coordinatore dello Sportello Legale gratuito di Ossigeno (Vedi) che ha aiutato oltre 70 giornalisti “senza editore” a difendersi in giudizio 

OSSIGENO 9 giugno 2023 – di Andrea Di Pietro – La Commissione Giustizia del Senato  sta procedendo – con moltissima calma – all’esame dei vari disegni di legge presentati per riformare la Legge sulla Stampa, risalente al 1948, e il reato di diffamazione, introdotto nel 1930. Siamo entrati ormai nel ventiquattresimo anno di vani tentativi del Parlamento di riformare/aggiornare/democratizzare la normativa penale e civile in materia di diritto all’informazione. Intervento legislativo non più procrastinabile, come è dimostrato dall’esito dei processi per diffamazione e dal largo abuso che se ne fa nel nostro Paese.

Ossigeno per l’Informazione, come nelle precedenti legislature ha fatto pervenire alla Commissione Giustizia del Senato, che sta esaminando i disegni di legge, un parere (Leggi) indicando vari punti deboli e contraddittori delle ultime proposte dei senatori, aggiungendo sue proposte e suggerimenti su come conseguire gli obiettivi che la Corte costituzionale ha chiesto di raggiungere al più presto, per rispettare in Italia gli standard fissati dalla Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti Umani e attuare la giurisprudenza della Corte di Strasburgo.

Bisogna constatare che in Italia – stante la persistente incapacità o non-volontà del legislatore di intervenire – la tutela del diritto dei cittadini a essere informati è stata sempre più saldamente affidata nelle mani della magistratura.

Possiamo affermare senza alcuna vena polemica, anzi con una certa gratitudine verso le Corti, che in questi decenni quasi tutti i progressi e le acquisizioni giuridiche per realizzare un più corretto bilanciamento tra il diritto di informare e il diritto alla reputazione sono arrivati per effetto di sentenze dei giudici,  soprattutto di pronunce della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione. Esse hanno supplito al silenzio e all’inerzia del Parlamento, un silenzio e un’inerzia lunghi oltre settanta anni, considerato che l’approvazione della Legge sulla Stampa risale al lontano 1948.

Questo silenzio e questa inerzia sono spiegabili soltanto con l’inconfessabile e inconfessato interesse a mantenere soggiogata la stampa con una legislazione vetusta e reazionaria.

Le Alte Corti e i tribunali hanno reso possibile che i giornalisti potessero superare alcuni di questi ostacoli e fare più liberamente il loro fondamentale mestiere. Hanno garantito, ad esempio, giusto per fare un paio di esempi, che i giornalisti non andassero in carcere per un articolo considerato diffamatorio o fosse loro consentito di dimostrare in giudizio la verità di quanto avevano scritto.

Oggi, per effetto di queste innovazioni giurisprudenziali, la possibilità di difendere un giornalista invocando l’articolo 51 del Codice penale – che giustifica la diffamazione per aver esercitato un diritto costituzionale – sembra scontata.

Non dobbiamo dimenticare che la parte più liberale del diritto all’informazione in Italia è pressoché interamente di creazione giurisprudenziale e non ha visto mai l’intervento riformatore del Parlamento.

Senza le innumerevoli sentenze che hanno reso vivente e attuale il diritto di informare staremmo ancora a chiederci se sia meglio definire una lite per diffamazione mediante il Giurì d’onore o affidandoci al duello per singolar tenzone.

Tuttavia due amare riflessioni fanno da contraltare a questo ruolo decisivo della magistratura in tema di libertà di stampa, una conseguente all’altra.

La prima: il giornalismo e le sue libertà fondamentali sono totalmente dipendenti dal potere giudiziario.

La seconda: è pressoché impossibile vincere un processo per diffamazione quando il querelante è un magistrato.

Da ciò discende una difficoltà oggettiva degli organi di informazione a esercitare il diritto di critica in modo pieno e talvolta duro nei confronti di chi amministra la giustizia.

Può accadere però, e accade spesso, che la sommatoria di tante sentenze su altrettanti temi di interesse vitale per il giornalismo, non produca un corpus giuridico all’altezza delle esigenze di sistematicità delle norme, di coerenza interna e di giustizia. Questo perché le Corti possono sostituirsi solo in parte all’attività regolatrice e riformatrice che il Parlamento esercita con le leggi. La totale supplenza è disfunzionale.

Ed è patologico che in quasi un secolo di attività legislativa, peraltro iperattiva su molti altri temi, il Parlamento della Repubblica non sia riuscito a riformare il sistema giuridico nella parte che regola il delicatissimo rapporto tra il diritto-dovere di informazione e i poteri dello Stato, da una parte, e il diritto alla reputazione delle persone fisiche e giuridiche, dall’altra.

Ma anche la politica ha delle responsabilità per l’inerzia del parlamento. In questi ultimi anni è apparso sempre più necessario che le forze politiche maturassero atteggiamenti e posizioni ragionate e di alto profilo scientifico sui alcuni temi dell’informazione che il progresso tecnologico ha reso ormai di strettissima attualità:

  • il diritto all’oblio, che dopo la riforma Cartabia non si comprende come debba essere attuato dal punto di vista pratico;
  • la competenza territoriale in tema di diffamazione online, che attualmente costringe i giornalisti a spostarsi su tutto il territorio nazionale per difendersi;
  • la responsabilità civile e penale per la mancata rimozione dalla rete dei commenti dei terzi rispetto a contenuti propri, che oggi prevede una inaccettabile responsabilità oggettiva;
  • un ripensamento del sistema sanzionatorio in materia di diffamazione a mezzo stampa, che non diventi economicamente insostenibile;
  • un nuovo assetto delle norme che regolano la responsabilità civile solidale in caso di diffamazione, dove il giornalista risponde insieme all’editore, come se i due stessero sullo stesso piano dal punto di vista del potere economico;
  • l’introduzione di adeguate contro-spinte al dilagante problema delle liti temerarie create ad arte per imbavagliare l’informazione;
  • l’introduzione del reato di ostacolo all’attività giornalistica proposto al Parlamento da Ossigeno e da Stampa Romana già da  due anni, che potrebbe risolvere in un colpo solo i problemi collegati alle violenze e alle minacce esercitate sui giornalisti per metterli a tacere.

Francamente lo scenario attuale è desolante e non incoraggia a sperare nell’approvazione in tempi brevi di una riforma in grado di risolvere efficacemente questi problemi e gli altri che non sono stati qui elencati. Bisogna continuare a sperare che il cammino di una vera e profonda riforma abbia inizio, ma non vi è alcuna certezza che sarà possibile evitare che il malato muoia in attesa della cura.

Andrea Di Pietro

 

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