Editoriale

Diffamazione. Una sentenza ripropone i nodi da sciogliere

Emessa a Spoleto dopo 8 anni ha comportato 60mila € di spese legali per fronteggiare la richiesta non documentata di 20 milioni di euro di danni  

OSSIGENO – 20 gennaio 2023 – Il 2023 ha avuto  inizio con una buona notizia per i giornalisti impegnati a cercare e segnalare fatti di pubblico interesse e per i consumatori che cercano informazioni sulla qualità dei prodotti che acquistano: un’interessante sentenza del  Tribunale di Spoleto (leggi) ha riconfermato pienamente che giornali e giornalisti hanno il diritto di fare inchieste sulla effettiva rispondenza alla qualità dichiarata dai produttori dei prodotti alimentari venduti negli esercizi commerciali (il caso esaminato riguarda la qualifica “extravergine” degli oli d’oliva che motiva un prezzo aumentato di circa il 30 %).

Dando torto all’azienda che chiedeva 20 milioni di euro di danni e piena ragione ai  giornalisti e ai giornali che avevano inserito quel prodotto nell’elenco degli oli che, messi alla prova, non avevano superato pienamente il test, il giudice ha riaffermato una verità banale, che davamo per scontato, ma che era stata messa ambiguamente in discussione da una multa inflitta il 1 febbraio 2022 dall’ AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) alla società Editoriale Novanta srl, iscritta al registro del consumo ed editrice della rivista giornalistica “Il Salvagente” (leggi i dettagli). Quel provvedimento richiamava anche gli articoli che la sentenza di Spoleto ha ora dichiarato pienamente legittimi.

Dunque il fatto che il Tribunale abbia bocciato la pretesa di 20 milioni di euro di danni è una gran bella notizia non solo per gli accusati ma anche per la libertà di stampa. Ed è anche una notizia utile, allo stesso tempo mostra i principali punti deboli che rendono l’attuale legislazione sulla diffamazione a mezzo stampa e le procedure giudiziarie italiane su questa materia inadeguate, ingiuste e punitive per i giornali e i giornalisti.

Infatti questa causa ci dice che in Italia:

  • è possibile chiedere danni non patrimoniali per diffamazione molto ingenti (in questo caso 20 milioni di euro) senza produrre alcuna prova oggettiva del presunto danno subito.
  • per avere la prima sentenza ci vuole troppo tempo (7 anni, in questo caso) e in questo tempo produce pesanti effetti sulle finanze degli editori e causa angosce.
  • il costo di una buona difesa legale è alto, non è alla portata di tutti i cronisti ed editori. In questo caso la difesa legale è costata oltre 60mila euro e non sempre, (come in questo caso) chi ha mosso accuse risultate infondate ha l’obbligo di rifondere queste spese. E’ un condizionamento pesante, poiché l’esito di ogni processo è incerto fino alla fine. Quanti editori e giornalisti avrebbero potuto permettersi il rischio di sostenere in proprio questa spesa senza indebitarsi o addirittura compromettere il futuro della loro attività professionale e imprenditoriale?

 Sottoponiamo queste osservazioni anche ai parlamentari, che anche in questa legislatura hanno all’esame progetti di legge per regolare meglio la diffamazione a mezzo stampa. Tocca a loro risolvere questi problemi riformando la legge vigente, bilanciando più correttamente il diritto dei cittadini di ricevere informazioni e il diritto di ognuno di difendere la reputazione personale. 

ASP

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