Editoriale

Il bavaglio dei boss in Emilia Romagna

Quale prova, nelle motivazioni della sentenza Aemilia, i giudici citano le minacce al direttore di Telereggio Gabriele Franzini

Pur di affermarsi nel territorio emiliano la cosca di n’ndrangheta costituita da persone originarie del comune calabrese di Cutro aveva deciso di imbavagliare la stampa “anche a costo di colpire singoli giornalisti con le intimidazioni”. Lo scrivono, nelle motivazioni della sentenza depositate il 18 luglio 2019, i giudici del tribunale di Reggio Emilia che hanno celebrato il processo Aemilia a carico dei componenti di quella cosca.
Imbavagliare la stampa era una scelta a strategica. Ciò è dimostrato, scrivono i giudici, da alcuni episodi ricostruiti dal processo. Fra essi viene citata l’intimidazione di Gianluigi Sarcone ai danni del direttore di Telereggio, il giornalista Gabriele Franzini.

Quella vicenda “si inserisce pienamente in una strategia del gruppo che mirava a controllare, condizionare, financo imbavagliare, la stampa e l’informazione in generale, per valorizzare la comunita’ calabrese come risorsa per la collettivita’ reggiana e per nascondere dietro questa immagine ‘pulita’, il radicamento della criminalita’ organizzata di origine calabrese. Per fare cio’ occorreva – spiegano i giudici – impedire che venissero divulgate notizie di senso contrario e gravemente nocive per il sodalizio. Cio’ anche a costo di andare a colpire i singoli giornalisti con azioni intimidatorie”.

Perciò, da un lato si conduceva “una campagna politico-mediatica” a sostegno della tesi “della discriminazione e dell’isolamento dei cutresi emigrati nella Provincia reggiana diversi anni prima”. Dall’altro si agiva per “condizionare, addirittura imbavagliare, gli organi di informazione” ritenuti ostili.

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