Editoriale

Mario Ciancio, i giornali, la mafia e l’editore puro

Il sequestro giudiziario dei giornali e delle tv di sua proprietà è un fatto senza precedenti che pone innanzitutto un problema di occupazione ma anche di formule editoriale

In Sicilia e in Puglia i giornalisti e gli altri dipendenti del gruppo editoriale di Mario Ciancio Sanfilippo, – giornali, tv, centri stampa, concessionarie pubblicitarie posti sotto sequestro dalla magistratura lunedì 24 settembre scorso – (leggi i particolari) si sono immediatamente mobilitati per difendere i loro posti di lavoro.

La FNSI e gli altri sindacati si sono doverosamente schierati al fianco dei lavoratori, evidenziando il rischio reale che aziende complesse e delicate, quali sono i giornali, una volta affidate ad amministratori giudiziari possano fallire. Tutte le imprese poste sotto sequestro perché considerate frutto di proventi illeciti di natura mafiosa corrono questo rischio, e il rischio è tanto più grave se si trovano già in crisi. I giornali di Ciancio sono investiti, al pari di tutti gli altri, dal drastico calo delle vendite e degli introiti pubblicitari, un grande problema che affligge tutti i giornali. Inoltre il procuratore di Catania che ha ordinato il sequestro ha detto che la situazione del quotidiano “La Sicilia”, il più importante dei giornali sequestrati, “è pesante”.

Dunque, non c’è dubbio che la prima emergenza sia quella di salvare le imprese e i posti di lavoro ed è bene che questo obiettivo assorba l’attenzione del mondo sindacale e del mondo editoriale.

Ma è chiaro che il caso Ciancio non finisce qui. Il sequestro di proprietà editoriali del valore di 150 milioni di euro a un editore accusato in Tribunale di essere da anni in rapporti di scambio con la criminalità organizzata, accusato di avere scambiato favori con esponenti mafiosi traendone vantaggio, accusato di avere piegato la linea editoriale dei suoi giornali agli interessi mafiosi, cioè di avere fatto ciò per cui da decenni alcuni giornalisti lo accusavano, apre anche altri profili di riflessione.
Quelle elencate sono accuse, non sono condanne. Sono accuse e tali le considereremo fino alle sentenze definitive. Ma questo riguarda soltanto le responsabilità penali dell’accusato.

Per riflettere su che cosa si dovrebbe fare sul piano editoriale, per avere imprese pulite e un’informazione completa, imparziale e autonoma dai centri di potere politici economici o criminali, il quadro di queste accuse è sufficiente e stimolante.

Ripropone il vecchio e irrisolto problema della natura dell’impresa editoriale, delle finalità sociali che essa dovrebbe perseguire, e non come optional, e delle garanzie della sua indipendenza. Perché l’informazione è una merce molto speciale, è di pubblico interesse e non può essere prodotta in piena indipendenza con la logica di mercato. Non basta avere giornalisti bravi, coraggiosi, competenti, e ne abbiamo molti. Se vogliamo evitare che una informazione completa e imparziale sia prodotta per favorire qualcuno e danneggiare qualcun altro, come spesso avviene, essa richiede un ambito di produzione speciale.
Perciò in Italia abbiamo sognato a lungo, per decenni, di affidare i nostri giornali al mitico editore puro (cioè a un imprenditore impegnato soltanto nel settore editoriale). Molti continuano a sognare l’editore puro. Vorremmo informarli che in altri paesi (in primis negli Stati Uniti) hanno già sperimentato a lungo questa soluzione e sanno, per averlo verificato, che essa non dà alcuna garanzia di autonomia, indipendenza e qualità dell’informazione e perciò da tempo si sta invece sperimentando l’editore no- profit.
E’ l’ora di sperimentarlo anche in Italia, dopo il sequestro giudiziario senza precedenti di un quotidiano, della maggioranza di un altro quotidiano, di due emittenti televisive regionali, di un centro tipografico in cui vengono stampati numerosi giornali, e di una concessionaria di pubblicità sottratti a un proprietario accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Tra l’altro, particolare non di poco conto, Mario Ciancio è giornalista, ed è stato per decenni direttore della Sicilia per decenni (dimettendosi il giorno prima del sequestro). E qui si imporrebbero altre riflessioni, di non minor rilievo.

ASP

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