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Bari. Condannata in appello la boss che aggredì e minacciò Maria Grazia Mazzola

Un anno e quattro mesi di reclusione – Applicata l’aggravante mafiosa – Deve pagare spese legali e risarcire le parti civili – Sentenza che fa scuola per la libertà di stampa, dice l’inviata del Tg1

OSSIGENO 25 maggio 2024 – Il 13 maggio 2024 la Prima sezione penale della Corte d’appello di Bari ha confermato per Monica Laera la condanna a un anno e quattro mesi di reclusione per l’aggressione contro l’inviata speciale del Tg1, Maria Grazia Mazzola, con l’aggravante mafiosa, lesioni e minacce di morte. Monica Laera, esponente del clan Strisciuglio di Bari, era già stata condannata per 416 bis con sentenza passata in giudicato ed è la moglie del boss Lorenzo Caldarola, pluricondannato per mafia, appartenente al clan Strisciuglio di Bari. Monica Laera è stata  condannata a pagare le spese legali delle sette costituzioni di parte civile e al risarcimento dei danni.

L’AGGRESSIONE – Il 9 febbraio 2018 nel quartiere Libertà di Bari, la giornalista Mazzola fu aggredita e colpita al volto con un pugno da Laera, mentre l’inviata del Tg1 sul suolo pubblico poneva domande sul figlio Ivan Caldarola e sul clan Strisciuglio. Mazzola le aveva chiesto  un’intervista da inserire in una inchiesta sul coinvolgimento dei più giovani nelle dinamiche criminali della citta’. Monica Laera raggiunse sulla strada Mazzola fronteggiandola e minacciandola con queste parole: “Che storia vuoi sapere?” e la colpì proprio mentre lei se ne stava andando. Il suo nome fu inserito nell’elenco dei giornalisti minacciati di Ossigeno (Leggi | Consulta la Tabella | Vedi la mappa) e anche in quello del Ministero dell’Interno. Le fu assegnata la misura di sorveglianza con le pattuglie radiocomandate. Laera fu condannata in primo grado (leggi su Ossigeno), sentenza alla quale si era appellata. La Corte di Appello ha rigettato tutte le richieste di revisione della condanna.

IL COMMENTO DELL GIORNALISTA – Più che soddisfatta ed emozionata la giornalista Maria Grazia Mazzola che, dopo la pubblicazione delle motivazioni della sentenza, ha così commentato per Ossigeno: “Questa sentenza è importantissima non solo per il mio caso, ma per tutti i cornisti minacciati in Italia. Per questo possiamo dire a pieno titolo che ha vinto il giornalismo libero contro le mafie. La Corte, con dovizia di particolari, ha smontato tutte le motivazioni alla base della richiesta d’appello di Monica Laera. Ringrazio chi mi è stato vicino, le sette parti civili, coloro che erano presenti all’udienza e in particolare il sindacato Usigrai, l’associazione Libera, il sindaco di Bari Antonio Decaro, Stampa Romana, la Fnsi, l’Ordine Nazionale dei Giornalisti”.

LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA – Maria Grazia Mazzola sottolinea con soddisfazione alcuni aspetti della sentenza. Innanzitutto, dice a Ossigeno, questa sentenza pone l’accento sulla modalità mafiosa di ostacolare il diritto all’informazione. Facendo un parallelo anche con l’episodio di cui è stato vittima il giornalista Daniele Piervincenzi, aggredito a Ostia nel 2017 da un esponente del clan Spada  (leggi su Ossigenoleggi su Ossigeno), la Corte d’Appello ha dato rilievo al fatto che la boss ha fronteggiato l’inviata del Tg1 non solo aggredendola, ma anche attraverso minacce di morte e l’intimazione di non tornare nel quartiere (“Non venire più qua che ti uccido”), ammonimenti giudicati chiaramente evocativi del metodo mafioso.

Inoltre, spiega la giornalista, la sentenza ha importanza anche alla luce del fatto che la Corte ha rigettato tutte le richieste sollevate dall’imputata. Ad esempio, sono state considerate irrilevanti le scuse da parte di Monica Laera e l’assoluzione del figlio (sulle cui vicende giudiziarie poneva domande la giornalista), trattandosi di fatti successivi l’aggressione, motivazioni sulle quali invece l’appellante aveva puntato per ottenere l’esclusione dell’aggravante mafiosa. Il figlio Ivan oggi è pluricondannato anche per associazione mafiosa. Tra le altre cose, è stata rigettata la richiesta di esclusione della recidiva, essendo la boss già condannata per associazione mafiosa.

La giornalista Mazzola, scrive la Corte nelle motivazioni, ha rotto l’omertà nel quartiere controllato dal clan, il giornalismo di inchiesta è vulnus nei confronti del potere mafioso e Laera ha voluto dimostrare la sua potenza davanti ai presenti con la violenza pubblica verso la giornalista. “Nessuno dei passanti – scrive la Corte – si è avvicinato alla giornalista per soccorrerla nè nessuno si è avvicinato a lei” nonostante la strada fosse popolata. 

Grazia Pia Attolini

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