Pugno a Maria Grazia Mazzola. Cassazione: Sì a aggravante metodo mafioso
Non era scontato ed è un forte monito a chi scoraggia illecitamente i cronisti, dice l’avv. Caterina Malavenda che ha difeso la giornalista del TG1
OSSIGENO – 19 giugno 2025 – L’applicazione dell‘aggravante del metodo mafioso, vista la genericità della norma che la prevede, era “un risultato non scontato”, dice a Ossigeno l’avv. Caterina Malavenda, che ha difeso con successo l’inviata del TG1 Maria Grazia Mazzola ottenendo l’applicazione di quella norma. L’applicazione c’è stata, aggiunge, ed è “un monito forte a chi intenda scoraggiare, ostacolandoli in modo illecito, quanti vogliono portare a conoscenza dell’opinione pubblica fatti di indubbio interesse sociale” (leggi sotto il testo integrale del suo commento).
L’applicazione non scontata è arrivata il 20 maggio 2025 con la decisione della Corte di Cassazione che ha condannato in via definitiva a 14 mesi Monica Laèra, (moglie del boss Lorenzo Caldarola, appartenente al clan barese degli Strisciuglio), la donna con precedenti mafiosi che, il 9 febbraio 2018 a Bari, minacciò di morte la giornalista Maria Grazia Mazzola, inviata del Tg1, e la aggredì sferrandole un pugno in faccia. La storica inviata della Rai voleva intervistarla per una puntata di TG1 speciale dedicato ai giovani e alla mafia.
IL COMMENTO DI CATERINA MALAVENDA – “La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di Monica Laèra, imputata per lesioni e minacce, aggravate dal metodo mafioso, ai danni della giornalista della RAI Maria Grazia Mazzòla, aggredita mentre si trovava nel quartiere “Strisciuglio” di Bari, per realizzare un servizio, confermandone la condanna – ha dichiarato a Ossigeno l’avvocata Caterina Malavenda, che ha assistito l’inviata Rai – Un risultato non scontato, per la genericità della norma che prevede quell’aggravante, ma certamente il più aderente ai fatti, così come accertati nel corso del giudizio. Quei fatti confermano quanto il mestiere di giornalista possa essere pericoloso e quanto sia perciò ancora più encomiabile chi lo esercita con coraggio e determinazione, nonostante i rischi, ma anche quanto sia incoraggiante che i giudici ne tengano conto e sanzionino, quando è possibile, chi tiene nei loro confronti atteggiamenti, che portano alla memoria tempi che si vorrebbero superati. Al di là delle motivazioni, non ancora depositate, la decisione tutela concretamente sia il diritto, sancito dall’art. 21 della Costituzione, sia la facoltà di esercitarlo in piena libertà e senza condizionamenti, specie se violenti. Anche se mai, in una società democratica, un cronista dovrebbe mettere in preventivo – o peggio patire – un’aggressione, è rassicurante che quando ciò avviene possa contare su una risposta giudiziaria ferma, decisa e coerente. La Suprema Corte, dunque, ha ancora una volta indirizzato un monito forte a chi intenda scoraggiare, ostacolandoli in modo illecito, quanti vogliono portare a conoscenza dell’opinione pubblica fatti di indubbio interesse sociale”, ha concluso Malavenda.
IL COMMENTO DEL PRESIDENTE DI OSSIGENO Alberto Spampinato – Si spera che dopo questa decisione della Cassazione l’applicazione dell’aggravante del metodo mafioso per punire le aggressioni ai giornalisti diventerà meno controversa. C’è ragione di sperarlo. Questa è la seconda decisione conforme della Cassazione su questa materia, dovrebbe fare giurisprudenza su una materia che finora ha visto orientamenti contraddittori dei giudici. L’altro precedente specifico è di sei anni fa: il 13 novembre 2019 la Cassazione confermò la condanna, con quell’aggravante, a sei anni di reclusione di Roberto Spada che il 7 novembre 2017 a Ostia aveva aggredito il giornalista Daniele Piervincenzi. Con quella condanna di Roberto Spada la Cassazione confermò la sentenza del 2019 della Corte d’Appello, secondo la quale l’aggravante del metodo mafioso non presuppone l’esistenza di un’associazione a delinquere di stampo mafioso, ma è giustificata dal clima di omertà, che in quel caso era evidente, “essendo stato accertato che Spada Roberto si avvalse, nell’occasione, della forza di intimidazione promanante dall’associazione malavitosa imperante sul territorio, nota come clan Spada, ben presente alla mente dei giornalisti e ben nota agli abitanti del luogo, tant’è che alla stessa si fece riferimento, ripetutamente, nel corso dell’intervista, come soggetto collettivo in grado di influenzare le decisioni politiche assunte nell’ambito del quartiere (era stato proprio questo, del resto, il motivo che aveva indotto i giornalisti a ricercare il contatto col prevenuto e a intervistarlo sul punto)”.
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ASP/LT
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