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Perché nell’informazione politica il limite della verità è meno rigoroso

Un brano del ricorso con il quale l’avvocato Paolo Mazzà ha chiesto e ottenuto che la Cassazione annullasse la condanna per diffamazione a mezzo stampa dei giornalisti Ezio Mauro e Giovanna Vitale pronunciata dalla Corte d’Appello di Roma (vedi la notizia)

(…) Le circostanze (…) avrebbero dovuto condurre la Corte di Appello a riconoscere la ricorrenza nel caso di specie del più ampio diritto di cronaca politica a proposito di accadimenti della vita amministrativa meritevoli di attenzione da parte dell’elettorato.

Come ha sentenziato codesta Ecc.ma Corte con riguardo a vicende di non diverso peso, l’informazione politica <<è anche un’estrinsecazione della libertà di concorrere con metodo democratico alla formazione della politica nazionale. Il metodo democratico…comporta anche il rispetto di altre regole necessarie al regime democratico. Tra queste vi è quella di garantire alla collettività attraverso i mezzi di informazione di massa la conoscenza di fatti di rilevanza politica. Essa opera anche come criterio ermeneutico dell’art.51 c.p., in forza del quale l’interprete deve tener conto della particolare rilevanza dell’interesse pubblico e della conseguente minor tutela dell’onore personale (che, inteso in senso oggettivo, comprende anche la reputazione). Il limite della verità è meno rigoroso per la necessità di una più ampia base di informazione di cui ha bisogno la collettività per potere valutare criticamente l’azione delle forze politiche, la gestione dell’apparato politico amministrativo ed ogni altro fatto o evento rilevante di natura politica. Si deve perciò concludere che “in materia di cronaca e critica politica, l’interesse all’informazione…comprime la tutela della reputazione e legittima anche la critica di un fatto ancora da verificare ma probabile in base alla ragionevole valutazione di altri fatti invece certi; a condizione, peraltro: a) che il fatto in questione sia attinente alla vita politica nazionale e locale e rivesta insufficiente grado di interesse per la collettività (requisito della pertinenza); b) e che la rappresentazione di quel fatto come probabile o possibile sia ragionevole e derivi dalla concatenazione logica di fatti già accertati e correttamente riferiti (requisito della continenza)>>.

Nello stesso senso, sempre codesto Supremo Consesso ha statuito che quando – come nel caso di specie – <<ci si trovi innanzi non già ad eventi di cronaca od a fenomeni soggetti a rigide leggi di meccanicismo deterministico…bensì a manifestazioni di vita politica o amministrativa, per le quali un dato evento può essere la risultante di molteplici condizioni, tutte analogamente plausibili, che a loro volta interagiscono tra loro o con altre concause. Qui sarebbe davvero azzardato parlare di verità e pretendere di ricostruire il senso politico di una vicenda attraverso gli ordinari strumenti di accertamento giudiziario, per il solo fatto che – anche ad ammettere che sia oggettivamente conseguibile un obiettivo di verità sarebbero quanto meno configurabili molteplici verità, tutte altrettante valide, a seconda delle disponibilità dell’interprete ad accordare, secondo i propri personali metri di giudizio, maggiore valenza ad una piuttosto che ad altra ragione determinante>>.

Infine, sempre in sede legittimità è stato sentenziato che <<…il giornalista che, in articoli dati alla stampa, faccia oggetto di trattazione avvenimenti di interesse politico o sociale, ha, in quanto sia ispirato dalla finalità di impedire che nulla vi sia di occulto o di men che limpido circa i fondamentali presupposti di moralità e di correttezza nella vita pubblica, il diritto di denunciare situazioni nei riguardi delle quali sussistono elementi concreti da cui si possano ragionevolmente desumere determinate conclusioni, sia pure offensive per la reputazione di terze persone, ogni qualvolta lo svolgersi dei fatti esiga che gli stessi siano urgentemente chiariti davanti alla pubblica opinione e, se del caso, attraverso una indagine da parte dell’autorità competente>>.

In altre parole, il diritto di manifestazione del pensiero ha una portata più ampia di quella riconosciuta dai Giudicanti se – come nel caso di specie – è esercitato in materia politica “sensibile” e mira a formare l’opinione dell’elettorato con riguardo ad accadimenti che appaiono veridici, come le possibili ragioni di “scambio” sottese alle nomine disposte da Roma Metropolitane in fase di ballottaggio del Sindaco di Roma.

Inoltre, quando investa aspetti della vita amministrativa – come, appunto, il discusso conferimento delle consulenze in discorso – condizionati da accadimenti non chiari e intellegibili, come quelli che avevano determinato l’inspiegabile accelerazione delle consulenze fino a quel momento osteggiate dallo stesso C.d.A. di Roma Metropolitane e deliberate in fase di ballottaggio delle elezioni amministrative.

Viceversa, i Giudice di appello hanno negato la scriminate in parola in forza di una ben restrittiva interpretazione del diritto di cronaca, finendo per ignorare la contingenza elettorale in cui era stata pubblicata la notizia delle cinque consulenze aspramente criticate dall’opposizione per bocca di un suo rappresentante apicale.

 Inoltre, hanno omesso di considerare che era compito della giornalista, nella particolare fase del voto amministrativo, cercare di illuminare ogni possibile spiegazione delle repentine deliberazioni assunte dalla partecipata capitolina a distanza di molti mesi da quando si era cominciato a discutere nel C.d.A. delle consulenze in parola, e dopo che si era già stabilito un diniego proprio con riguardo alla consulenza da affidare a Di Mario.

Insomma, codesta Ecc.ma Corte non mancherà di considerare che, in forza delle medesime circostanze messe in evidenza nelle sentenze di merito e testé elencate, era diritto-dovere della Vitale concorrere con le informazioni circa il curriculum di Di Mario e la detta intervista alla formazione della pubblica opinione nella particolare fase delle votazioni amministrative, nonché cercare un’interpretazione di accadimenti della vita amministrativa della Capitale di rilievo erariale oltre che politico.

Per tali motivi si chiede che la sentenza gravata sia annullata quanto all’articolo del 8 marzo 2013 sia nei riguardi della giornalista sia del Direttore per esercizio del diritto di manifestazione del pensiero nella forma dell’intervista e della cronaca politica. (…)

ASP

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