Pappagallo (Asr): norme di dubbia costituzionalità

Il segretario dell’Associazione Stampa Romana ha ricordato i due ricorsi alla Consulta contro il carcere e l’uso pretestuoso della giustizia civile

“Mi sembra corretto in una sede istituzionale e in un consesso arricchito dalla presenza di tanti colleghi indicare alcune delle linee sulle quali ci stiamo muovendo come categoria per invertire la rotta sulle minacce all’informazione”: il segretario dell’Associazione Stampa Romana, Lazzaro Pappagallo, al convegno di Ossigeno in Senato, ha ricordato l’importanza di una condivisione e di un confronto con le normative europee in materia di diffamazione a mezzo stampa.

Il segretario di Asr ha citato i ricorsi di due Tribunali italiani per capire “se il codice Rocco e la legge sulla stampa, nella fattispecie, reggano un giudizio di costituzionalità”.

“A Salerno – ha detto Pappagallo – il Tribunale ha accolto una eccezione di parte; a Bari procede di ufficio nella richiesta di intervento alla Consulta. La Corte Costituzionale dovrebbe pronunciarsi entro la primavera forse unificando le questioni. Alla Consulta è arrivata l’ordinanza emessa il 9 aprile scorso dal giudice monocratico della seconda sezione penale del Tribunale di Salerno Giovanni Rossi, nel corso del processo per diffamazione a carico dell’ex collaboratore del “Roma” Pasquale Napolitano e del direttore del giornale Antonio Sasso, assistiti dall’avvocato del Sindacato unitario giornalisti della Campania, Giancarlo Visone. Per il giudice Rossi, il carcere per il reato di diffamazione a mezzo stampa va contro quanto previsto dall’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e violerebbe anche libertà e principi fondanti sanciti dagli articoli 3, 21, 25, 27 e 117 della nostra Costituzione. In particolare si richiama il caso che ha visto contrapposto Sallusti al nostro paese con sconfitta dell’Italia. Il principio è questo: l’ingerenza nella libertà di espressione di un giornalista è in palese violazione dell’articolo 10 della Convezione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali quando preveda l’applicazione di una pena detentiva al di fuori delle “ipotesi eccezionali” che nel nostro caso sarebbero i discorsi di odio e di istigazione alla violenza”.

“In sostanza – ha spiegato il segretario di ASR – la previsione di una pena detentiva per i reati di diffamazione a mezzo stampa deve essere considerata sproporzionata e non giustificata in quanto l’effetto dissuasivo derivante dalla semplice minaccia dell’applicazione del carcere risulterebbe di per se eccessivamente limitativo della libertà di espressione giornalistica”.

“Nel frattempo é pervenuta a Palazzo della Consulta un’altra ordinanza emessa dal Giudice Salerno del tribunale di Bari (sede di Modugno) il 16 aprile scorso. Viene eccepita l’incostituzionalità sempre dell’art. 13 della legge sulla stampa dell’8 febbraio 1948 n. 47 in combinato disposto con l’art. 595, 3° comma, del codice penale per presunta violazione dell’articolo 117, comma 1, della Costituzione in relazione all’art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia diritti dell’uomo e libertà fondamentali, in quanto sarebbe illegittima la pena cumulativa della reclusione, invece che in via alternativa, per il reato di diffamazione a mezzo stampa. Il Giudice con molto tatto nell’ordinanza di rinvio scrive che è obbligato a una scelta del genere perché nonostante ci siano state diverse condanne della corte europea dei diritti dell’uomo non solo per la vicenda Sallusti ma anche per una questione relativa alla Rai il legislatore non ha fatto nulla. Da qui una maggiore legittimazione a intervenire chiedendo alla Consulta di fare qualcosa e di provvedere”.

“Le deterrenze non arrivano solo dal codice penale. È materia comune e pacifica – ha detto Lazzaro Pappagallo – che forse ancor peggio del carcere sia l’uso strumentale della giustizia civile a costituire una minaccia per i miei colleghi, in modo particolare per i freelance non coperti in alcun modo dalle assicurazioni delle aziende per le quali scrivono e lavorano – ha argomentato ancora Pappagallo – Forse ora ci potrebbero essere le condizioni per convergere sul testo del giornalista senatore Primo di Nicola che prevede una cauzione al 50 per cento. Ricordo un episodio paradossale che ha coinvolto una inchiesta su un’università telematica, condotta dal giornalista Nello Trocchia. L’università ha chiesto a Trocchia 39 milioni di euro. Per arrivare a questa cifra l’azione è stata proposta da tutti i 137 dipendenti”.

“Ecco – ha concluso – su entrambe le questioni ci possono essere risposte che chiamano in causa l’inerzia o l’azione della politica, il quadro di regole costituzionali e sovranazionali, un orizzonte non solo ideale ma anche molto concreto di condividere un orizzonte civile ed europeo”.

ASP

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