Al governo piace il carcere per i giornalisti

Lo fa pensare la memoria dell’Avvocatura dello Stato depositata alla Consulta che deve giudicare due eccezioni di costituzionalità all’applicazione di questa pena ai colpevoli di diffamazione a mezzo stampa

Adesso sappiamo che il governo italiano non disdegna l’idea di veder finire qualche giornalista nelle patrie galere. Lo sappiamo, o meglio lo deduciamo, poiché l’Avvocatura dello Stato, chiamata a rappresentare la posizione della presidenza del Consiglio davanti alla Corte Costituzionale, sostiene questa tesi, nero su bianco, nella “memoria difensiva” depositata il 31 marzo 2020 presso la Consulta. 

In quella memoria, l’Avvocatura dello Stato sostiene la legittimità costituzionale delle norme che prevedono la pena detentiva per i giornalisti condannati per diffamazione con l’aggravante del mezzo della stampa e dell’attribuzione di fatto determinato. 

È questa, dunque, la posizione del governo Conte su una questione di grande delicatezza? Il presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Carlo Verna, lo ha chiesto senza ottenere risposta. Vedremo più avanti se questo silenzio esprime imbarazzo o consenso. È necessario conoscere l’orientamento del presidente del Consiglio dei Ministri su una materia così rilevante per uno Stato democratico. Il procedimento presso la Corte Costituzionale, quando si svolgerà, fornirà un’ulteriore occasione per cambiare o confermare la posizione e ci dirà qual è la fondatezza dell’obiezione di costituzionalità in termini di diritto e di coerenza con i Trattati firmati dall’Italia. 

Il governo è stato costretto a venire allo scoperto (assumendo questa posizione in contraddizione con quanto sostenuto da altri governi nelle passate legislature) perché davanti agli Ermellini pendono due giudizi incidentali di legittimità costituzionale sollevati dai giudici di Salerno e di Modugno-Bari.

Le norme sulle quali si chiede il giudizio della Corte sono l’articolo 595 del codice penale del 1930, che al terzo comma prevede una pena massima di tre anni (o la multa fino a 50mila euro) per il reato di diffamazione a mezzo stampa e l’articolo 13 della legge sulla stampa del 1948 che prevede il carcere fino a sei anni (più la multa fino a 50mila euro) se lo stesso reato è aggravato dall’attribuzione di fatto determinato. Norme vecchie di 90 e 72 anni ma ancora vigenti. E che il Parlamento tenta (o finge) di abrogare a ogni legislatura, a partire dal 2001.

Le udienze pubbliche erano in calendario per il 21 e 22 aprile. Il 21 sarebbe stata discussa la questione di legittimità costituzionale sollevata – su istanza della difesa degli imputati – dal giudice del tribunale di Salerno, davanti al quale pendeva una causa intentata contro i giornalisti Pasquale Napolitano (diffamazione a mezzo stampa aggravata dall’attribuzione di fatto determinato) e Antonio Sasso (omesso controllo). 

La presidenza della Corte Costituzionale – considerata l’emergenza sanitaria – aveva prospettato l’ipotesi di discutere la causa in camera di consiglio, senza intervento delle parti. Ciò è possibile se tutte le parti in causa sono d’accordo. Il sindacato dei giornalisti di Napoli e la presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata dall’Avvocatura dello Stato, erano favorevoli. Invece, il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti si è opposto e il suo presidente ha motivato questa scelta con l’esigenza di una trattazione pubblica alla presenza delle parti in considerazione della rilevanza della materia. La posizione dell’Ordine ha determinato un rinvio a data da destinarsi. Il rinvio e la legittima diversità di posizioni hanno generato forti polemiche nel mondo giornalistico, ma la notizia non è arrivata sui giornali che – tranne rare eccezioni – non dedicano alcuna attenzione a questi problemi che influiscono sulla libertà di informazione. 

Quando la Corte costituzionale tornerà a discutere la questione sollevata dai giudici di Salerno e di Modugno-Bari potremo ascoltare – e anche vedere in streaming con quali argomenti il governo italiano sosterrà pubblicamente la tesi che i giornalisti possono/devono finire in carcere. E quando il Senato deciderà di tornare a occuparsi del disegno di legge che, tra l’altro, abolisce il carcere per i giornalisti, sarà interessante osservare quale posizione assumerà pubblicamente il governo (presidenza del Consiglio, ministro della Giustizia, sottosegretario all’Editoria).  GFM

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Articolo di Pierluigi Franz

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