Osservatorio

2020. Un anno sprecato per i problemi irrisolti dell’informazione e dello stato di diritto

Questo rapporto è stato consegnato da Ossigeno per l’Informazione agli esperti della Commissione Europea che hanno consultato le ONG italiane e hanno svolto una visita virtuale in Italia per raccogliere informazioni per il “2021 Rule of Law Report” pubblicato il 21 luglio 2021

A cura di Alberto Spampinato – revisione di Giuseppe F. Mennella e Andrea Di Pietro

OSSIGENO 7 maggio 2021 – Nel 2020 in Italia si è registrata una sostanziale inerzia della politica e delle istituzioni sui numerosi problemi che attendono risposte sul piano editoriale e del giornalismo, per rendere più pieno ed esercitabile il diritto di informazione e la libertà di stampa. Il Parlamento è stato immobile. Il Governo ha addirittura fatto dei passi indietro. Altre istituzioni hanno segnato il passo.

Questo immobilismo e questa inerzia si sono manifestati nonostante fosse evidente l’urgenza di risolvere questi problemi, nonostante la lista e la loro natura fossero ampiamente noti e documentati da tempo anche presso la Commissione dei Diritti Umani dell’ONU, nonostante tutti i nodi da sciogliere fossero stati riproposti pubblicamente nel corso dell’anno da Ossigeno per l’Informazione. La pandemia è l’alibi dietro cui si è nascosta la mancanza della volontà politica necessaria per affrontare queste questioni che pesano sulla democrazia e influiscono non poco sulla partecipazione dei cittadini al dibattito pubblico.

Ossigeno per l’Informazione, nel suo ruolo di organizzazione non governativa vedi li ha esposti nel corso dell’anno sulla base della sua rilevazione continuativa e indipendente delle principali violazioni del diritto di informazione previsto dall’articolo 10 della CEDU. Ha mostrato, con esempi specifici e concreti, la loro persistente attualità e l’urgenza di risolverli nell’interesse generale. Li riassume di seguito nei termini generali, rinviando per maggiori dettagli alle informazioni contenute nel sito web www.ossigeno.info 

I dati di Ossigeno relativi al 2020

Nel corso del 2020, Ossigeno per l’Informazione, con il suo il monitoraggio attivo, ha documentato pubblicamente 472 gravi violazioni del diritto di informazione nei confronti di altrettanti giornalisti, blogger, difensori dei diritti umani, di cui il 26% donne. Queste cifre mostrano che in Italia la pressione intimidatoria sui giornali e sui giornalisti, sui blogger e sui difensori dei diritti umani è forte. Il fenomeno delle intimidazioni, delle minacce e degli abusi è molto esteso, è presente sull’intero territorio nazionale, le violazioni sono molto più numerose di quanto risulta dalle rivelazioni degli altri centri di osservazione. vedi https://www.ossigeno.info/8-marzo-nel-2020-un-giornalista-minacciato-su-4-e-donna-i-dati-di-ossigeno/

Sebbene i casi documentati dettagliatamente da Ossigeno nel 2020 siano meno numerosi rispetto ad alcuni  anni precedenti, ciò non può essere interpretato come un’attenuazione del fenomeno osservato. Questa flessione riflette le difficoltà della pandemia e una minore disponibilità di risorse finanziarie e professionali impiegabili per il monitoraggio. https://www.ossigeno.info/statistiche-e-dati/

Sul piano editoriale i problemi irrisolti riguardano in primo luogo: 

– l’indipendenza della governance dell’azienda pubblica radio televisiva Rai, che rimane controllata dal governo e dai partiti politici.

– il conflitto di interessi fra politica e editoria, rimasto irrisolto in grande parte dopo l’approvazione dalla legge Gasparri del 2004.

– la grave crisi finanziaria dell’editoria locale, gravata da posizioni dominanti, condizionata da gruppi politici e imprenditoriali, esposta a pressioni della criminalità organizzata.

Sul piano giornalistico i problemi irrisolti riguardano in primo luogo: 

– la precarietà dei rapporti di lavoro dei giornalisti caratterizzati da retribuzioni molto basse e da contratti che non garantiscono la stabilità del lavoro e la continuità delle retribuzioni e di conseguenza continuano a indebolire l’autonomia professionale. 

– la mancata attribuzione ai giornalisti di uno stato giuridico appropriato e corrispondente alle responsabilità e ai rischi professionali. Ai giornalisti italiani non sono riconosciute le prerogative necessarie per svolgere la professione in autonomia e sicurezza, senza mettere a rischio la possibilità di continuare a svolgere il proprio lavoro, l’incolumità personale e il proprio patrimonio.

– la disponibilità di pochi editori a coprire le spese legali e gli eventuali risarcimenti dovuti dagli autori di ogni articolo pubblicato, salvo rivalsa nei casi di accertata malafede. Questa garanzia sarebbe necessaria a fronte delle migliaia di querele e cause per diffamazione promosse strumentalmente e immotivatamente ogni anno per ottenere danni da diffamazione a mezzo stampa. 

Sebbene il 92% di questi processi si concluda con il proscioglimento degli accusati, in molti casi le spese sostenute rimangono a carico degli accusati. Il perdurante manifestarsi del fenomeno è stato documentato dal monitoraggio di Ossigeno per l’Informazione ed è da molti anni all’attenzione del Parlamento italiano con proposte di legge che non prendono in considerazione questo aspetto essenziale.

– il debole diritto dei giornalisti di invocare il segreto professionale sulle loro fonti fiduciarie. Questa lacuna legislativa richiede una modifica dell’articolo 200 del Codice di procedura penale secondo il quale il giornalista può opporre il segreto professionale ma deve rinunciarvi se un giudice glielo ordina.

– la prassi di eseguire intercettazioni giudiziarie sulle utenze dei giornalisti non indagati formalmente e di trascrivere le loro conversazioni intercettate sull’utenza di persone indagate. Questa esigenza è stata riproposta dal recente scandalo delle intercettazioni eseguite nel 2017-2018 che hanno portato l’autorità giudiziaria a inserire negli atti di indagine contenuti di quelle conversazioni e altre informazioni sull’attività di decine di giornalisti impegnati a documentare il dramma dei mancati salvataggi in mare dei migranti nel Canale di Sicilia. 

– le perquisizioni giudiziarie nei confronti di giornalisti non indagati eseguite al solo scopo di trovare la fonte di provenienza di informazioni tutelate da segreto di stato o di indagine pervenute ai giornalisti. Sarebbe necessario specificare che in questi casi l’autorità giudiziaria deve indagare il comportamento dei soggetti tenuti alla custodia e al rispetto di tali segreti e non i giornalisti che pubblicano informazioni nell’interesse pubblico. Si dovrebbe intervenire agendo sul modello della Germania che ha apportato una modifica ad hoc all’articolo 335 del codice penale tedesco.

– le minacce, intimidazioni, ritorsioni che piovono su giornali e giornalisti in modo sostanzialmente incontrastato anche sotto forma di cause civili e denunce penali (querele) per diffamazione a mezzo stampa non fondatamente motivate, e per ridurre l’impunità pressoché assoluta di chi ricorre a questi strumenti per imporre una censura inammissibile.

– l’esigenza di coinvolgere tempestivamente tutte le istituzioni creando una agenzia pubblica di segnalazione, indipendente, autonoma dal Governo, gestita dalla società civile, incaricata di eseguire un monitoraggio oggettivo, attendibile ed esteso delle minacce e intimidazioni nei confronti dei giornalisti, comprendendo fra esse anche le cosiddette querele e le cause temerarie messe in atto allo scopo di oscurare notizie di interesse pubblico e ridurre la partecipazione alla vita pubblica (SLAPPS).

– la creazione di un canale permanente attraverso il quale segnalare tempestivamente e contemporaneamente a tutte le autorità e istituzioni pubbliche le intimidazioni ai giornalisti, blogger, difensori dei diritti umani, sul modello della Piattaforma del Consiglio d’Europa per la sicurezza dei giornalisti.

Nessuno di questi problemi è stato affrontato e risolto, in tutto o in parte, nel corso del 2020.

Gli effetti della pandemia Covid-19

In Italia la pandemia ha acutizzato tutti i problemi dell’informazione sul tappeto, ha ridotto il numero dei giornalisti impegnati nel lavoro collettivo all’interno delle redazioni e di conseguenza ha ridotto la qualità dell’informazione prodotta.

Il nuovo rapporto dell’Osservatorio sul Giornalismo dell’AgCom

Il nuovo Rapporto dell’Osservatorio sul Giornalismo (Media Observatory) dell’AgCom pubblicato a ottobre del 2020 ha evidenziato il fatto che durante la pandemia la maggior parte dei giornali e dei giornalisti ha veicolato passivamente le comunicazioni delle autorità pubbliche. La parte di analisi, di critica e di approfondimento, che è il valore aggiunto che l’informazione giornalistica può fornire, è stata esigua. 

L’AgCome e le minacce ai giornalisti

Nel 2020 moltissimi giornalisti impegnati nella raccolta di informazioni all’esterno delle redazioni, soprattutto i video reporter (quelli più facilmente individuabili poiché fanno uso di videocamere) hanno subito aggressioni e minacce mentre documentavano le trasgressioni dei divieti imposti per la profilassi anti -pandemia. 

IL Rapporto del Media Observatory Agcom pubblicato a ottobre 2020, come quelli degli anni precedenti, indica la persistente presenza del grave problema delle minacce e delle intimidazioni contro i giornalisti italiani e del loro utilizzo per impedire la diffusione di notizie sgradite. Già negli anni scorsi questo fenomeno e quello del precariato sono stati indicati dall’’Osservatorio AgCom come i principali problemi del mondo del giornalismo in Italia.

Nel richiamare il problema, il nuovo Rapporto AgCom ha annunciato la imminente pubblicazione di una integrazione su questo aspetto specifico.

Ossigeno per l’Informazione, su incarico dell’AgCom, ha contribuito a questa seconda parte del rapporto. Ha fornito all’Agenzia per le garanzie nelle Comunicazioni i dati dettagliati del suo monitoraggio, mostrando con cifre ed esempi che in Italia la pressione intimidatoria dovuta alle violenze e agli abusi è alta e impedisce non solo la circolazione di numerose informazioni di interesse pubblico ma anche la partecipazione alla vita pubblica dei cittadini. 

In questo studio, Ossigeno ha sottolineato che in Italia la percezione del fatto che queste violenze ed abusi siano delle evidenti violazioni del diritto di informazione previsto dall’articolo 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo è molto bassa. Ossigeno ha inoltre evidenziato che le informazioni fornite dai media su questo fenomeno sono episodiche e non aiutano a comprendere né la dimensione né la sua natura né il fatto che esso sia sostanzialmente incontrastato, perché mancano le norme idonee per farlo e perché quelle in vigore sono in gran parte inapplicate.

Le autorità hanno adottato misure specifiche? E con quali effetti?

La risposta è: no. Non è stata adottata alcuna nuova misura. Nel 2020 gli unici interventi delle autorità italiane in questo campo degni di rilievo sono stati due e nessuno di essi ha avuto effetti concreti: una multa dell’AgCom alla RAI, la scelta della Corte Costituzionale di sospendere il giudizio sull’applicabilità della pena del carcere ai colpevoli di diffamazione a mezzo stampa. 

La multa dell’AgCom alla RAI

Il 14 febbraio 2020 l’AgCom ha sanzionato con una multa di 1,5 milioni di euro (fatto senza precedenti) la RAI, l’azienda pubblica radio-televisiva, contestandole ripetute violazioni delle regole di pluralismo di indipendenza, imparzialità,  pluralismo e completezza in materia di informazione e di non disparità e trasparenza nella vendita degli spazi pubblicitari, diffidandola a ripristinare una corretta gestione della vendita degli spazi pubblicitari e a ripristinare una corretta gestione della vendita degli spazi pubblicitari. Le violazioni contestate riguardano i notiziari giornalistici e alcuni programmi di approfondimento trasmessi sulle tre reti generaliste (RAI1, RAI2, RAI3) nei quali sono stati violati tali principi sanciti dal “contratto di servizio” che regola la concessione. Nella sua delibera, l’ AgCom ha descritto in dettaglio 51 violazioni. LINK

La RAI ha reagito contestando presso il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (TAR) la legittimità degli addebiti e, a febbraio 2021, ha ottenuto l’annullamento della delibera per motivi procedurali. Il TAR non si è pronunciato nel merito delle violazioni elencate e descritte nella delibera. 

La Corte Costituzionale e il carcere per i giornalisti

Il 9 giugno 2020 La Corte Costituzionale ha esaminato l’eccezione di incostituzionalità sollevata da due tribunali italiani riguardo all’applicabilità della norma del Codice penale e dell’articolo 13 della Legge sulla stampa n.47/48 che prevedono la pena della reclusione fino a sei anni per i colpevoli di diffamazione a mezzo stampa. La Corte ha ritenuto che questa obiezione non sia infondata e ha rinviato di 12 mesi la sua decisione in merito ai due casi in esame, per concedere al Parlamento un tempo congruo per abrogare con una legge la pena carceraria, adeguando la normativa alla giurisprudenza CEDU.

In occasione di questa seduta della Corte costituzionale un’iniziativa del Governo ha destato seria preoccupazione. Il presidente del Consiglio dei Ministri in carica, Giuseppe Conte, attraverso l’Avvocatura dello Stato, ha presentato alla Corte Costituzionale due memorie a nome del Governo. In esse ha affermato la piena legittimità costituzionale delle norma che prevedono la pena della reclusione carceraria e della loro applicabilità. 

In questo modo il Governo ha manifestato per la prima volta in modo esplicito il suo orientamento negativo su questa delicata questione, mettendo fine all’illusione che dietro il silenzio mantenuto nel corso di due decenni in merito ai progetti di legge di iniziativa parlamentare (discussi in Parlamento e mai approvati) che hanno prospettato la possibilità di abrogare la pena della reclusione, ci fosse un orientamento favorevole dell’esecutivo. 

Questa esplicitazione è tuttora fonte di preoccupazione per i difensori della libertà di stampa, in quanto le norme che prevedono la reclusione fino a 6 anni per punire la diffamazione a mezzo stampa sono sproporzionate, anche a parere della CEDU e delle massime organizzazioni multilaterali, in quanto determinano un effetto raggelante (chilling effect) sulla libertà di informazione e pertanto dovrebbero essere abolite in ogni paese.

Gli effetti della pandemia sulla sicurezza dei giornalisti

Nel 2020 non ci sono state nuove misure di protezione per i giornalisti né sono state potenziate quelle previste dalle autorità per garantire la sicurezza dei giornalisti. Valgono perciò le considerazioni già svolte nella precedente relazione. 

Ossigeno ritenute efficaci e adeguate le misure attuali di protezione previste per i giornalisti che ricevono serie minacce di morte e rischiano di subire attentati. Questo dispositivo assicura da anni, con scorte armate, la massima protezione a oltre venti giornalisti minacciati di morte.  

Invece le protezioni previste per i giornalisti esposti a rischi non fatali (aggressioni, ritorsioni, danneggiamenti) appaiono insufficienti e poco trasparenti. Per molti giornalisti che si trovano in questa situazione è difficile accedere al sistema di protezione. Le valutazioni di Ossigeno sono esposte nel Rapporto “Molta mafia, poche notizie” già segnalato. https://www.ossigeno.info/il-rapporto-molta-mafia-poche-notizie/

In Italia ci sono misure efficienti contro l’abuso di querele e cause per diffamazione a mezzo stampa?

No, Il Parlamento italiano discute da alcune legislature proposte di legge per introdurre sanzioni e nuove prassi giudiziarie  per scoraggiare l’uso intimidatorio e temerario delle cause  e delle denunce penali (querele) per diffamazione a mezzo stampa non fondatamente motivate. Ma nessuna proposte è stata approvata e l’orientamento politico generale fa capire che manca la volontà politica e la cultura giuridica per procedere in tal senso.

Occorre tenere presente che in Italia la diffamazione a mezzo stampa è un reato che produce ogni anno circa diecimila nuovi processi ( vedi i dati ISTAT) ed è necessario inserire fra le SLAPPs la maggior parte di questi processi penali, poiché oltre il 90% di essi si conclude con l’assoluzione degli accusati, rivelando che molte di queste denunce sono infondate, immotivate, esagerate quando non sono propriamente intimidatorie.

L’effetto intimidatorio di questi processi è evidente e condiziona molto i giornalisti spingendo molti di loro – soprattutto quelli che ricavano b assi redditi dal loro lavoro, che sono la grande maggioranza – verso l’auto-censura. Ciò è dovuto ai seguenti fattori:

  • ogni querela fa nascere un processo, poiché in Italia i pm hanno l’obbligo di esercitare l’azione penale a fronte di ogni avviso di reato;
  • essere imputati in un processo impone spese di difesa legale non eliminabili
  • pochi editori si fanno carico delle spese legali dei giornalisti
  • spesso queste spese rimangono a carico dei giornalisti anche se vengono assolti
  • i querelanti possono fare opera di cecchinaggio querelando soltanto il giornalista che ritengono più molesto. Ciò isola l’autore degli articoli più sgraditi dagli altri giornalisti e dal direttore responsabili e dall’editore del suo media. Ciò avviene  poiché è perseguibile soltanto chi è stato querelato. Il pubblico ministero può rimediare in parte a questa operazione mirata ma spesso non lo fa.

Queste diffuse difficoltà hanno indotto Ossigeno per l’Informazione a creare il servizio di Assistenza Legale Gratuita, finanziato con donazioni e riservato ai giornalisti e blogger che ne fanno richiesta e dimostrano di aver agito in modo deontologicamente corretto e in buona fede, che hanno un reddito basso e nessuna assistenza dall’editore. Questo servizio ha assistito gratuitamente oltre 40 giornalisti e blogger riportando la vittoria processuale nella totalità dei casi. Inoltre ha concesso un contributo in denaro alle spese legali sostenute da altre decine di cronisti. vedi https://www.ossigeno.info/assistenza-legale/

Pressioni politiche sui giornalisti e gli editori

I casi sono numerosi. Ossigeno per l’Informazione non li censisce per mancanza di adeguate risorse, se non prendono la forma di minacce o di SLAPPs

Ostacolato accesso alle informazioni

Ossigeno ha inserito questi episodi, con una categoria specifica, fra le 34 tipologie di intimidazioni che tiene sotto osservazione. Queste intimidazioni sono efficaci ma difficili da osservare. La maggior parte di coloro che sono colpiti da queste modalità di ritorsione cercano di superare le difficoltà in silenzio, per timore di perdere il lavoro. Ossigeno ha riferito episodi in cui è stato rifiutato a un cronista il diritto di accedere a uffici e luoghi o di partecipare a eventi pubblici ai quali erano ammessi altri giornalisti. Numerosi episodi hanno riguardato il permesso di accedere a eventi sportivi, conferenze stampa, processi penali).

Una questione più generale riguarda l’accesso agli atti giudiziari conoscibili. Recentemente qualcosa è cambiato in meglio. Ma ancora oggi, in molti casi, i cronisti devono dipendere dalla cortesia – più o meno interessata – di un legale di parte o di un magistrato, con il rischio di conoscere soltanto una parte delle informazioni e di produrre informazioni di parte.

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